di Alessandro Maran
Lunedì scorso l’Asia ha fatto sapere al presidente Donald Trump quanto la sua guerra commerciale sarà disastrosa per l’economia globale. “Il Nikkei 225 Stock Average giapponese ha perso oltre 1.000 punti. Le azioni nelle economie dell’Asia-Pacifico sono crollate più di quanto temuto in sei mesi (…) Sebbene Pechino se la sia cavata più facilmente del previsto – per ora – gli investitori asiatici vedono che Trump sta lasciando cadere una palla da demolizione sulla sua stessa economia con l’azione più drastica di protezionismo messa in atto dalla Casa Bianca in quasi un secolo. Le ricadute colpirebbero le economie asiatiche dipendenti dalle esportazioni”, ha scritto William Pesek
su Barron’
s (https://www.barrons.com/articles/tariffs-asia-market-reaction-trump-china-6615bdf2).
Che le bordate commerciali di Trump saranno distruttive per tutti i soggetti coinvolti, compresi gli Stati Uniti, è opinione ampiamente condivisa tra i commentatori economici. Ma chiaramente, non tutti condividono questa valutazione. Oren Cass, fondatore e capo economista del think tank pro-Trump American Compass, le cui opinioni economiche interventiste rappresentano, in un certo senso, le basi intellettuali dell’ala protezionista del trumpismo, la pensa diversamente (nel novembre scorso Cass ha illustrato le sue convinzioni nel corso di GPS, il programma della
CNN sugli affari internazionali condotto da
Fareed Zakaria:
https://edition.cnn.com/…/gps1110-trumps-economic-policy).
Nella sua newsletter Understanding America, Cass scrive che i dazi possono essere mirati a vari obiettivi: aumentare le entrate, disaccoppiare le catene di approvvigionamento, correggere gli squilibri commerciali ed esercitare una “leva finanziaria” per costringere altri paesi su qualsiasi questione si possa immaginare. I dazi su Canada e Messico, scrive Cass, sono chiaramente forme di leva finanziaria, non orientate economicamente in sé, ma volte a modificare il comportamento di Canada e Messico (Trump ha invocato migrazione e fentanyl come motivazioni.) Al contrario, i dazi sulla Cina, che erano più bassi all’inizio e che Trump non ha sospeso come gli altri, potrebbero essere una storia diversa.
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“Questi sono dazi negoziali”, scrive Cass della campagna tariffaria di Trump, più in generale. “Questo è chiaro dalla scheda informativa della Casa Bianca che li annuncia e che inquadra la politica come uno strumento per ‘affrontare una situazione di emergenza’ e ‘usare la nostra leva finanziaria’. Nulla nel documento indica un focus economico. Le negoziazioni in corso sulla loro effettiva entrata in vigore confermano la strategia. Non sorprende, quindi, che la concezione stessa della politica sia poco adatta agli obiettivi economici, ma tagliata a misura di una posizione negoziale. Non è stato fatto alcuno sforzo per consentire la preparazione, creare certezza o sostenere gli investimenti nell’approvvigionamento interno. Anche il trattamento più benevolo della Cina rispetto a Messico e Canada potrebbe essere indicativo”.
Quando si tratta della Cina, scrive Cass, il disaccoppiamento potrebbe essere parte dell’obiettivo effettivo. “Come nuovo status quo, l’accordo minacciato tra questi tre paesi avrebbe poco senso economico”, scrive Cass. “D’altra parte, ottenere rapidamente concessioni da Canada e Messico, mentre si procede con una nuova tariffa doganale del 10%” sulla Cina, senza eccezioni, “sarebbe un risultato molto positivo” (
https://www.understandingamerica.co/…/o-canada-time-to…).
I dazi possono rendere i beni più costosi per i consumatori statunitensi, come hanno sottolineato molti analisti, e possono rendere parti e materiali intermedi più costosi per le aziende americane che li utilizzano per produrre beni finiti. In merito alle complicate catene di fornitura nordamericane, il Journal ha osservato: “Gli esperti del settore affermano che un veicolo prodotto nel continente attraversa i confini avanti e indietro una mezza dozzina di volte o più, poiché le aziende si procurano componenti e aggiungono valore nei modi più convenienti”. I dazi possono complicare tutto questo. Nel frattempo, i dazi di ritorsione da parte dei paesi presi di mira potrebbero danneggiare specifici settori industriali statunitensi. In un altro editoriale, la redazione del Journal ha scritto: “Trump non può abrogare le leggi dell’economia più di quanto Joe Biden potesse farlo riguardo all’inflazione (…) I dazi sono tasse e quando si tassa qualcosa, se ne ottiene di meno. Chi paga la tariffa dipende dall’elasticità della domanda e dell’offerta per i beni specifici. Ma Trump vuole che i lavoratori e i datori di lavoro americani si sacrifichino per la squadra. Spero che non perdiate il lavoro o l’attività prima che arrivi l’età dell’oro” (
https://www.wsj.com/…/the-trump-tariff-fallout-begins…).
Vedendo “l’assurdità” delle tariffe, la redazione del
Financial Times osserva che dopo che, come candidato nel 2016, Trump aveva criticato il North American Free Trade Agreement (NAFTA), lui stesso lo ha rinegoziato nel modificato United States-Mexico-Canada Agreement (USMCA) durante la sua prima amministrazione. “Il fatto che il presidente stia ora calpestando anche l’accordo rivisto (…) manda il messaggio che della parola dell’America non ci si può fidare”, ammonisce il FT (
https://www.ft.com/…/069a3af8-261b-4848-b19b-4fe82d324c64).
Il columnist di
Bloomberg John Authers vede un elenco di motivi per diffidare del programma di Trump in materia di dazi: “Se il fentanyl è sul serio il vero motivo, allora imporre tariffe doganali al Canada non è nemmeno tra le prime 100 politiche che potrebbero affrontare la questione (…) Se c’è preoccupazione per il confine (USA-Messico), allora una misura che potrebbe spingere il Messico in recessione e forzare una nuova “invasione” di persone disperate in cerca di lavoro è esattamente quello che devi evitare (…) I prezzi salgono quando le catene di fornitura vengono interrotte. Le catene di fornitura con Messico e Canada sono più strettamente integrate con gli Stati Uniti di qualsiasi altro posto. Prenderle di mira massimizzerà i disagi, l’inflazione e le perdite di posti di lavoro (…) Poiché gli Stati Uniti esportano molto in Canada e Messico, entrambi i paesi possono reagire in modo più efficace (…) La sequenza è importante e sarebbe saggio ottenere tagli fiscali contabili (come in Trump 1.0) prima di tentare questo” (
https://www.bloomberg.com/…/how-stupid-is-this-trade…).
Ci sono tuttavia due cose da ricordare nel valutare le presidenze di Donald Trump, ha scritto ieri Stephen Collinson per la
CNN. “Primo, niente è più importante del commander in chief che sembra un duro. Secondo, niente è veramente ciò che sembra” (
https://edition.cnn.com/…/trump-blinks-trade…/index.html).
Ed è proprio questo tipico metodo politico di Trump che può aiutarci a spiegare il caos sconcertante, la politica del rischio calcolato e le pose assunte nel corso del suo scontro tariffario con Canada e Messico.
Le imposte del 25% sulle importazioni dai vicini più prossimi dell’America dovevano entrare in vigore alle 12:01 di martedì, ma Trump ha sospeso la sua guerra commerciale su due fronti, sostenendo di aver ottenuto due grandi vittorie e importanti concessioni. La verità è che “Trump si è tirato indietro da una lotta che avrebbe potuto causare gravi problemi economici”.
Bisogna riconoscere che la campagna elettorale di Trump si basava sul rafforzamento dei confini settentrionali e meridionali degli Stati Uniti e ha chiesto a Canada e Messico di fare di più per tagliare il flusso di migranti clandestini e fentanyl. Dopo che lunedì Trump ha parlato con la presidente Claudia Sheinbaum, quest’ultima ha annunciato che avrebbe inviato 10.000 soldati messicani al confine. Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha accettato di nominare uno zar del fentanyl, di istituire una task force congiunta di confine tra Stati Uniti e Canada e di spendere 1,3 miliardi di dollari in elicotteri e tecnologia per proteggere il 49° parallelo.
I media pro-Trump hanno proclamato straordinarie vittorie. Ma la verità è che Trump ha mollato, scrive Collinson. “Ancora la scorsa settimana il presidente ha giurato che non c’era nulla che Canada o Messico potessero fare per evitare i dazi che aveva pianificato di imporre. Ma si è tirato indietro dall’imporli comunque”.
“Mentre lunedì mattina i mercati crollavano, le potenziali conseguenze di una guerra commerciale nordamericana sono state messe a nudo. Il rischio che i dazi potessero far aumentare i prezzi di quei generi alimentari che Trump era stato (in parte) eletto per mettere a posto è diventato chiaro. Ci sono stati nuovi allarmi sul fatto che l’industria automobilistica, una preoccupazione transfrontaliera, poteva bloccarsi e che il prezzo di un nuovo veicolo avrebbe potuto presto aumentare di $ 3.000. E Canada e Messico non hanno davvero rinunciato a molto. Per i canadesi, il costo di una nuova strategia di confine è di gran lunga inferiore alle ricadute di una guerra commerciale (e nel mese di dicembre avevano già offerto un programma di rafforzamento del confine da 1,3 miliardi di dollari). Aggiungere un nuovo zar del ‘fentanyl’ non è stata certo una grande perdita politica. Il Messico ha più volte trasferito truppe al confine. Ad esempio, ne ha inviate 10.000 nell’aprile 2021 su richiesta del presidente Joe Biden, che non aveva bisogno di minacciare di gettare il vicino meridionale dell’America in recessione per fargli dare una mossa”.
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.
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