Se con Donald Trump presidente è tornata la politica – Libero Quotidiano

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Corrado Ocone

Cosa significa la presidenza di Donald Trump da un punto di vista storico? Probabilmente è troppo presto per dirlo, anche per l’imprevedibilità dell’uomo. Quel che però può dirsi con una certa sicurezza è che con Trump è definitivamente morta l’ideologia globalista, già provata dagli eventi degli ultimi anni. Non si tratta tanto di insistere sul suo “nazionalismo” né sulle politiche protezioniste adottate, a cominciare da quella dei dazi alle importazioni minacciati o realizzati. Si tratta di ricondurre tutto questo a ciò che Trump rappresenta: il ritorno della Politica. Per un periodo, quello in cui ha predominato appunto l’ideologia globalista, abbiamo pensato che della politica ci si potesse disfare, dimenticando che essa è connaturata all’essere umano. La politica è essenzialmente conflitto, o se si preferisce confronto acceso fra idee, visioni del mondo, interessi. La politica è per sua natura divisiva. La spoliticizzazione, ovvero il tentativo di neutralizzare i conflitti, aveva raggiunto il suo punto di massima proprio nei decenni seguenti alla caduta del comunismo. In quel periodo si era infatti realizzata una convergenza fra tutte le forze spoliticizzanti che tradizionalmente hanno pensato di poter eliminare la politica dall’orizzonte umano: dall’economia, che ci preannunciava un’età d’oro e di prosperità, all’etica, ridotta al formulario politicamente corretto dell’inclusione e della diversità, fino al diritto, che tendeva ad autonomizzarsi e a sottrarre alla politica ogni spazio di decisione in nome di leggi astratte e sovranazionali.

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La “fine della storia” era sostanzialmente anche la fine della politica, che al massimo poteva ridursi ad una mera amministrazione dell’esistente. Un’ideale di armonia poco alla volta si sostituiva a quello classico di politica. Ora, è evidente che l’armonia non solo contrasta con l’essenza più profonda dell’umanità, ma è sostanzialmente illiberale in quanto genera omologazione e conformismo. Se non ho più le armi della politica per contrappormi a ciò che mi viene imposto e provo a farlo con la semplice parola sono facilmente collocato nel girone degli abietti, delegittimato moralmente. Considerate le cose da questo punto di vista, Trump svolge perciò una funzione liberale anche quando brandisce l’arma dei dazi, se non altro perché rompe il «pensiero unico» dell’economia. Il paradosso, o forse la contraddizione, è che egli lo fa in nome di un’idea non liberale del commercio e degli scambi. Egli torce all’inverosimile l’ideologia liberale, richiamandola al suo anteposto, che sono comunque i concreti rapporti di potere che la mettono in essere. Vedremo come andrà a finire, ma per intanto il primato della politica sull’economia sembra ristabilito. Ma come, si dirà, il ruolo assunto nella nuova amministrazione dai big dell’economia, cioè dai miliardari della Silicon Valley, non significa esattamente il contrario?

Non rischia di essere Elon Musk, cioè non un politico ma un imprenditore e un uomo d’affari, il dominus di tutta l’amministrazione? Io lascerei alla sinistra, con i suoi rigurgiti anticapitalisti, queste obiezioni alquanto banali. Intanto, Trump ha messo l’altro giorno in chiaro quali siano i rapporti effettivi fra lui e il proprietario di X: «Elon ha alcune idee davvero buone – ha detto – ma non può fare e non farà qualsiasi cosa senza il nostro consenso». D’altronde, aver cooptato anche gli altri leader delle big tech, spesso in passato in contrasto con Musk, ci fa capire quella che è forse la strategia tutta politica del nuovo inquilino della Casa Bianca. Preso atto che il dominio dell’America si giocherà soprattutto sul terrno della tecnologia più avanzata, egli ritiene che sia necessario che i protagonisti del settore facciano sistema e soprattutto lavorino per gli interessi nazionali individuati dalla politica. Trump risponde a quella domanda di democrazia emersa forte in Occidente dalle ceneri del globalismo.



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