Tra noi e lui passano tre, quattro secondi. Questione d’anticipo. Quel che basta per fiutare uno scoop, capire il sentiment di una persona, «intercettare la frequenza». Ci vuole cuore, fame, passione, intuito, prima che esperienza. Spregiudicatamente gentile, Rino Barillari, il re dei paparazzi, si appresta a festeggiare domani il compleanno. Ottanta anni e non sentirli, anzi schivarli. L’uomo più amato e odiato da forze dell’ordine e vip, vittime e carnefici, l’unico in grado di aprire ogni porta di casa a suon di autorevolezza fama o spintoni conta i suoi anni con lo spirito dolce amaro di un quarantenne forzatamente raddoppiato. Talento? Sicuro. Anche se lui realisticamente insiste: «La fame ti porta a essere diverso dagli altri, altrimenti falliment. Il cervello non ti gira».
LE AGGRESSIONI
Re della Dolce vita come degli anni di Piombo, in grado di coniugare il lavoro di cronaca nera di giorno e di cronaca rosa a volte anche choc di notte, di raccontare sangue e costumi, star loro dietro snaturandosi senza battere ciglio nell’arco di decenni, in questi giorni è tartassato da richieste di interviste. Il mondo lo cerca. E lui, Rino Saverio Barillari, nato a Limbàdi, in provincia di Vibo Valentia, dall’alto dei 162 accessi al pronto soccorso, 11 costole rotte, una coltellata, 76 macchine distrutte, 40 flash sfasciati e tantissime manganellate negli scontri di piazza, ricorda: «Ero irrequieto. Se rimanevo giù in Calabria sarei diventato un capo dell’anti Stato. A 14 anni mia madre mi mandò a Roma. Tutti andavano via, chi a Milano chi a Torino, chi in Germania». I soldi bastavano per arrivare nella Capitale. Un segno del destino. Il giovane Rino Barillari dorme nel mondo che racconterà e che un giorno lo incenserà. In centro, a Villa Borghese. «Per sbarcare il lunario racimolavo le monetine che gettavano i turisti e restavano fuori dalla Fontana di Trevi…».
L’adattamento è il suo forte. «Dormivo nel letto di un cuoco che andava al lavoro alle 4 di mattina, lui usciva io entravo. Eh, sì, rubavo la calamita dinamo dalle biciclette e prendevo le monete dalla Fontana di Trevi». Qui incontra gli “scattini”. «Facevano foto per sposi e turisti, mi arruolarono, portavo le buste, guardavo, osservavo, cominciavano ad arrivare tanti personaggi famosi». Così Barillari va a Porta Portese e compra una macchina fotografica, una Comet Bencini. Scende in campo. A via Veneto. «Andavo all’Ansa e all’Associated Press, mi compravano qualche negativo». Il primo grande scoop è un servizio sulla cantante lirica e attrice Irma Capece Minutolo, compagna di Re Faruq d’Egitto. Ma già prima era finito sulle prime pagine per la rissa in Via Veneto con Peter O’Toole: «Aveva bevuto e non prese bene che lo stessi immortalando con Barbara Steele. Mi diede un cazzotto, finii in Pronto Soccorso: mi suturarono la ferita con quattro punti all’orecchio. Ero minorenne, mio padre sporse denuncia e mi disse “basta, cambia mestiere, ogni sera mi chiamano dalla questura”. Cambiò idea quando l’attore mi diede un milione di risarcimento, forse la somma più alta mai ottenuta da un paparazzo».
Le “gesta” di Barillari sono note. Dal cazzotto rimediato da Ava Gardner “pizzicata” in compagnia di Walter Chiari ai tavolini schivati, tirati contro di lui dai gorilla di Frank Sinatra, «mi salvò Domenico Modugno». Ama ricordare i suoi primi scatti, da Gordon Mitchell a Kirk Douglas, da Peter Sellers a Claudia Cardinale o Amedeo Nazzari. «Guardavo gli altri come lavoravano, mi hanno sempre aiutato tutti, perché ero giovane e sempre disponibile, facile da reperire, dovevo sbarcare il lunario». Inseguito da Marlon Brando con una bottiglia rotta all’Isola Tiberina, rincorso da Mickey Rourke sulla spiaggia di Fregene, «voleva il rullino, gliene diedi uno vuoto» (un classico gioco delle tre carte di Barillari), in nome di una passione che ancora arde e lo porta in giro nella notte, al fianco della moglie Antonella Mastrosanti. L’ultima “sveglia” con ennesima tappa in ospedale l’ha presa da Gerard Depardieu sempre a Via Veneto, un anno fa. Una carriera passata dal Tempo al Messaggero immortalando sparatorie e vip, a cominciare dal caso Bebawi, l’omicidio di Farouk Chourbagi, in piena Dolce Vita, nel ‘64. A caccia di personaggi, con una rete di informatori fatta di ristoratori, portieri, infermieri e forze dell’ordine. Il suo volto è un passepartout, lo sanno bene i cronisti che hanno lavorato al suo fianco, i suoi modi svelti e cordiali, furbi eppure autentici, confondono e spiazzano. «La guerra è guerra» continuerà a dire Rino, forse ripensando alla fame e agli esordi, anche quando averlo vicino diventerà una garanzia di successo. L’agony della Dolce Vita come dice lui, lo porta su scontri, barricate e anni di piombo. «Se arrivavi per primo beccavi la sveglia, le manganellate». E Barillari era sempre il primo.
LA NERA
Il 16 marzo 1978, è in via Fani, è stato rapito Aldo Moro. Scatta la foto alla pistola e ai proiettili, entra nel palazzo davanti, sale al terzo piano, bussa, si fa aprire e immortala le auto crivellate e il corpo a terra. «Il 3 maggio 1979 sulle frequenze radio della polizia intercetto… Piazza Nicosia, colpi d’arma da fuoco, zona bloccata. Era la sede della Dc». Corre sul posto. Ci sono i cadaveri di due agenti. «Erano miei amici, avevamo preso il caffé insieme quella mattina». Anche qui viene fermato, un poliziotto gli chiede il rullino: come sempre ne consegna un altro. «Abbiamo rischiato. Oggi è tutto più facile». Ma non lo dice da ottantenne malinconico. Fotografa la realtà, come sempre. «Oggi è tutto più facile, col telefonino ho fotografato Di Caprio, con la macchina non riuscivo a farlo. Ora le notizie te le danno tardi, come dicono loro, ma la città è una polveriera… E poi ogni tre anni cambiano il lavoro, i costumi, vanno di moda nuovi personaggi, quest’anno i politici. Ma sbagliano: le notizie se le mettono da soli, sui social si bruciano da soli». Con l’umiltà e l’ironia del 14enne arrivato a Roma, il “Kingino” come lo chiamava Fellini, non molla. Ama la nera, lo scoop e la provocazione. Attenti a incrociarlo con la reflex al collo, accentuerà il passo un po’ malandato, solo per scattare meglio.
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