Il diritto di riunione è un diritto di libertà individuale a esercizio collettivo, e l’ordine pubblico è condizione di libertà, giacché evoca due diversi interessi di rilievo costituzionale, concernenti i diritti di quanti si incontrano e pacificamente manifestano senz’armi, ma anche dell’intera collettività, che non deve subire alcuna conseguenza da chi esercita il diritto a riunirsi e manifestare. L’autorità di pubblica sicurezza contempera la tutela di entrambi i diritti, ma spesso l’azione di garanzia delle forze dell’ordine è strumentalmente presentata invece come un vulnus, il cui effetto sarebbe la violazione di diritti. Se così fosse, quei partiti sempre sferzanti con i poliziotti e critici verso la gestione dell’ordine pubblico, devono assumersi la responsabilità di proporre entro quali limiti e attraverso quali strumenti lo Stato possa arginare orde di gruppi incappucciati e armati che – spesso pianificando gli atti di violenza – devastano interi quartieri causando danni al patrimonio pubblico, danneggiano attività commerciali e beni privati come automobili e vetrine, e feriscono gli agenti. La degenerazione della protesta scarica sui poliziotti tensioni sociali e politiche incombenti e irrisolte, mentre servono senso di responsabilità e idee chiare per gestire i confini fra il dissenso e la protesta violenta, delineando limiti e forme entro i quali dissenso e protesta non comprimano i diritti e le libertà altrui. Non comprendere questo significa non voler comprendere né il ruolo dei poliziotti né il valore della mis-sione affidata alle forze di polizia. Dispiace che la senatrice Cucchi – il cui lutto personale rispettiamo come la sua meritoria battaglia per la verità – e il di lei partito AVS, si distinguano per una visione perdonista della violenza di piazza. Basta leggere gli emendamenti presentati al DDL Sicurezza per constatare come da una parte della sinistra emerga un’idea anarchica del diritto di manifestare e una scarsa attenzione al rischio dell’integrità fisica (dunque alla vita stessa) dei poliziotti.
Anche i giudizi riguardo le funzioni e il lavoro dei poliziotti lasciano trasparire da quella parte politica l’opaco conformismo e i cliché autocelebranti di coloro che si considerano intellighenzia, ma che – non esprimendo più nulla di rilevante da tempo immemore – si baloccano nello stabilire in base a chissà quale autorità autopercepita i confini fra il giusto e l’ingiusto, e attribuiscono sempre e solo alle forze di polizia le responsabilità di ogni accadimento nefasto. Giudizi sommari spesso smentiti dai fatti, come nel caso della drammatica e dolorosa morte del giovane Ramy. I poliziotti invece, anche grazie all’attività sul territorio di sindacati come il Siap, sono integrati col mondo del lavoro e le dinamiche sociali.
Custodi dell’ordine e a un tempo protagonisti di una società aperta e libera, senza rinunciare ai propri doveri, senza tradire il giuramento di fedeltà alla Repubblica e ai suoi valori democratici, che sono patrimonio di tutti i poliziotti e i cittadini italiani, non solo di chi protesta.
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