CARTA DOCENTE – I precari su organico di diritto e di fatto fanno un lavoro “identico o simile” a chi è di ruolo, per la Corte Giustizia UE è “ingiustificata la diversità di trattamento”: dal Tribunale di Roma 2.000 euro al supplente

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È ancora una volta l’ordinanza del 18 maggio 2022 della Sesta Sezione della Corte di Giustizia U.E. a spostare la bilancia a favore dei docenti precari che chiedono la Carta del docente attraverso i legali Anief: così è andata pure per il Tribunale di Roma che nel condannare il Ministero a pagare 2.000 euro ad una docente che ha presentato ricorso con Anief, ha ricordato come la Corte abbia “preso le mosse dall’analisi delle principali fonti normative interne all’ordinamento italiano e, segnatamente” quali “l’art. 282 del D.Lgs. 297/1994” con “le disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado”; l’art. 28 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola del 4 agosto 1995 ai sensi del quale “la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per i capi di istituto e per il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario, in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle rispettive professionalità;  l’art. 63 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola del 27 novembre 2007 che, al comma 1, prevede che ‘l’Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio”; quindi, l’art. 1, comma 121, della L. 107/2015 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione), che istituisce la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente; il comma 124 dello stesso art. 1;l’art. 2, commi 4 e 5, del D.P.C.M. del 23.9.2015”.

Esaminate le fonti normative, “la Corte di Giustizia U.E.” è giunta alla conclusione inequivocabile che “l’indennità prevista dall’art. 1, comma 121, della L. 107/2015 debba essere considerata come rientrante tra le “condizioni di impiego” ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro (punti 35-38) ed escludendo che la “mera natura temporanea” dei rapporti possa costituire una “ragione oggettiva” (punto 46), ha ritenuto che, in presenza di un “lavoro identico o simile” e quindi di comparabilità (punti 41-43), la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro ed il principio di non discriminazione ostino ad una normativa nazionale che riservi quel beneficio ai soli docenti a tempo indeterminato.

 

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Il Tribunale di Roma ha scritto che “su taluni degli aspetti maggiormente controversi della normativa, ha fatto chiarezza Cass. 29961/2023 pronunciata a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Taranto ai sensi dell’art. 363bis c.p.c.”, i cui passaggi “rilevanti ai nostri fini” sono il “diritto-dovere formativo che riguarda non solo il personale di ruolo, ma anche i precari, non essendovi nessuna distinzione in tal senso nella Normativa”; la “stretta connessione della Carta con il piano formativo ed al nesso con la didattica”; l’art. 15 D.L. 69/2023, convertito con modificazioni dalla L. 103/2023, con la quale il beneficio è stato esteso “per l’anno 2023, anche ai docenti con contratto di supplenza annuale su posto vacante e disponibile”; il fatto che la “Carta venga associata dalla stessa norma istitutiva ad “iniziative coerenti” con il Piano triennale dell’offerta formativa (c.d. PTOF)”, al cui interno è prevista la “connessione integrata tra operato dei docenti e finalità educative”.

 

Ancora il Tribunale del lavoro di Roma, sempre a seguito dell’intervento della Cassazione di fine 2023, ha evidenziato che la Carta del docente “non esaurisce il novero dei possibili interventi formativi, si è affermato che essa spetta, pur in assenza di domanda, anche ai docenti non di ruolo, sia a quelli con incarico annuale che a quelli titolari di incarico di docenza fino al termine delle attività didattiche. Si tratta, rispettivamente, delle

supplenze annuali cc.dd. su “organico di diritto”, riguardanti posti disponibili e vacanti entro la data del 31 dicembre, con scadenza al termine dell’anno scolastico, e delle supplenze cc.dd. su “organico di fatto”, con scadenza al 30 giugno, cioè “fino al termine delle attività didattiche”, in cui il presupposto non è la vacanza del posto ma la sua effettiva disponibilità. In entrambi i casi, disciplinati dall’art. 4, commi 1 e 2, L. 124/1999, la relazione tra supplenze e didattica annua è chiaramente enunciata”.

 

Per il giudice del lavoro di Roma, dunque, i docenti precari su organico di diritto e di fatto sono “da ogni punto di vista comparabili” con i colleghi di ruolo: pertanto “va rimossa ogni diversità di trattamento, quindi disapplicato l’art. 1, comma 121, L. 107/2015 per contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 4, punto 1, dell’Accordo Quadro” della Corte di Giustizia Europea. Pertanto, “così illustrati i termini della questione, è evidente che, a fronte di una perfetta comparabilità delle situazioni, dal punto di vista della natura del lavoro e delle competenze professionali richieste, risalta una ingiustificata differenza di trattamento essendo i docenti a termine esclusi dal “vantaggio finanziario” di cui all’art. 1, comma 121, L. 107/2015.”

 

Infine il giudice di Roma ha rilevato che anche il Consiglio Stato, Sezione Settima, con sentenza n. 1842/2022, “pronunciandosi su fattispecie identica, ha definito il sistema di formazione delineato dalla normativa interna come un sistema “a doppia trazione”, “quella dei docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l’erogazione della Carta, e quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico” ma un tale sistema “collide con i precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., sia per la discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo (resa palese dalla mancata erogazione di uno strumento che possa supportare le attività volte alla loro formazione e dargli pari chances rispetto agli altri docenti di aggiornare la loro preparazione), sia, ancor di più, per la lesione del principio di buon andamento della P.A.. Per tale ragione, il Consiglio di Stato ha annullato gli atti in quella sede impugnati (il d.P.C.M. del 23 settembre 2015 e la nota del M.I.U.R. n. 15219 del 15 ottobre 2015) nella parte in cui escludono i docenti non di ruolo dall’erogazione della cd. Carta del docente, stante la contrarietà di detta esclusione rispetto ai precetti degli artt. 3, 35 e 97 Cost.”.

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Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “è evidente ormai che tutte le supplenze annuali, anche su organico di fatto, abbiano valenza utile a chiedere la Carta del docente: le espressioni emesse da Consiglio di Stato,Corte di Giustizia Europea e Corte di Cassazione non lasciano spazio a dubbi: diventa allora importante che tutti i supplenti o ex supplenti con almeno 150 giorni di insegnamento svolti per anno scolastico presentino ricorso gratuito con Anief, in modao da recuperare fino a 3.500 euro più gli interessi maturati. Attenzione però – conclude Pacifico – a non attendere oltre cinque anni dalla stipula del contratto a tempo determinato”.

 

CONCLUSIONI DELLA SENTENZA DEL TRIBUNALE DEL LAVORO DI ROMA

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, non definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione:

– accoglie il ricorso e, previa disapplicazione del d.P.C.M. del 23 settembre 2015 e del d.P.C.M. del 28.11.2016, per violazione delle clausole 4 e 6 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale – CES, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), accertato il diritto della parte ricorrente, condanna il Ministero dell’Istruzione ad erogare alla docente la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione di cui all’art. 1, comma 121, L. 107/2015 con accredito dell’importo di € 500,00 per gli anni scolastici 2019/2020, 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023 già trascorsi (cadauno);

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– condanna il Ministero dell’Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese di lite, liquidate in complessivi € 1.029,50, oltre IVA e CPA come per legge ed oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ex art. 2, comma 2, D.M. 55/2014, come aggiornato con D.M. 147/2022, con distrazione.

Così deciso in Roma il 29.1.2025

IL GIUDICE

 

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