Il patto di fedeltà alla patria ė anche fiscale — Il Domani d’Italia

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 


Se Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II hanno fatto l’Italia, se la scolarizzazione, la Radio e la televisione hanno contribuito a fare la lingua comune superando i tanti dialetti, nel 2025 dobbiamo constatare amaramente che ancora non siamo riusciti a fare una comune e solida coscienza civile. In particolare ciò vale per l’atavica allergia di troppi italiani ad ottemperare ad uno dei doveri di cittadinanza ovvero pagare le tasse in proporzione al proprio reddito e ricchezza. La nostra democrazia costituzionale ha spostato la sovranità sul popolo e l’imposta è divenuta una contribuzione, che se ben proporzionata e con onestà assolta, è necessaria per affrontare le spese per i servizi comuni. Un obbligo morale e giuridico derivante dal concetto di Stato-Comunità. All’articolo 52 che recita «la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», segue l’articolo 53: “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Una combinazione di principi che esalta la solidarietà politica ed economica. Il principio americano “No taxation without representation” (nessuna tassa senza rappresentanza) che ha ispirato la nascita degli Stati liberali e democratici, comporta quindi anche che la rappresentanza richiede la giusta contribuzione.

Tutto ciò che ci circonda viene garantito dal sistema pubblico di cui siamo usufruitori e contributori. Ma la realtà dell’enorme evasione fiscale afferma che mentre tutti esigono i servizi pubblici – sanità in primis -, troppi non vi contribuiscono. Ma cosi il sistema non sta in piedi e si viene a creare il perverso circuito etico per cui meglio essere furbi che onesti fregati. E la politica, quando per meri calcoli elettorali fa l’occhiolino agli evasori lasciando intendere che non insisterà nella riscossione e promettendo vari condonini, contribuisce ad alimentare questi sentimenti antipatriottici che vanno a danno dei cittadini onesti e dei bilanci pubblici. Il noto slogan elettorale “non metteremo le mani delle tasche degli italiani” ha prodotto l’effetto di ritenere che le forze politiche che lo adottano avranno comportamenti – indulgenti- verso gli evasori. In realtà si tratta di far emergere i redditi non dichiarati, occultati o messi al riparo in paradisi fiscali che svuotano le tasche dei contribuenti onesti.

Giulio Andreotti, con ironia, osservava che l’umiltà è una gran virtù che però troppi italiani esercitano nella dichiarazione dei redditi. In un recente convegno dedicato a Giacomo Matteotti, che prima di essere assassinato dai fascisti studiò a fondo il sistema tributario, Ernesto Maria Ruffini (già Direttore della Agenzia delle entrate) ha ricordato come questi guardasse con favore alla progressività delle imposte e considerasse il fisco come lo strumento principe per costruire una società più giusta. Un principio e strumento fondativo del patto alla base della comunità è dunque inserito in una visione politica fondata sull’uguaglianza e la giustizia sociale (v. Francesco Tundo,  La riforma tributaria. Il metodo Matteotti, Bologna Univesity Press). Anche Luigi Sturzo nel 1921 (Vicepresidente dell’Anci) si impegnò nello studio della riforma dei tributi locali per evitare la contrapposizione Comuni-Stato. Tutto ciò oggi vale per le persone come per le imprese, multinazionali in particolare, per le quali è sempre più necessaria l’armonizzazione europea onde evitare la competizione evasiva al ribasso.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

La cifra monstre di circa 100 miliardi annui d’evasione ci assegna la maglia nera in Europa e tra i primi nel mondo. La modesta ripresa economica non può certo bastare ad allungare la coperta del bilancio pubblico dove è sempre difficile reperire le risorse necessarie per i servizi primari: scuola, sanità, trasporti e sistema di welfare in generale. Le dimissioni di Ernesto Maria Ruffini da Direttore Generale  della Agenzia delle entrate hanno riaperto la vexata quaestio. Ruffini ha affermato: “Non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato […] se il fisco in sé è demonizzato, si colpisce il cuore dello Stato. Ho sempre pensato che a danneggiare i cittadini onesti siano gli evasori”. Certo nessuno auspica – come già indicava Matteotti –  l’esasperazione della riscossione che rischia di rovesciare il principio per cui il cittadino non si sente “sovrano” ma suddito di un principe che continua a esigere senza però offrire quanto costituzionalmente pattuito. Il fisco deve essere equo, non un apparato vessatorio. La pubblica amministrazione è anche strumento di giustizia? Se la risposta è “sì”, ancora di più lo è per la giustizia tributaria. Il Presidente Mattarella spesso ha ricordato la necessità che i cittadini paghino i tributi in ragione dei principi sottesi al “patto di fedeltà e lealtà” (art. 2 della Carta) che regge lo Stato di diritto e sociale. Per stare tutti meglio deve crescere il senso di appartenenza alla comunità.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link