‘Ndrangheta, gli affari al Nord, i videopoker e i “cesti” alle famiglie per le feste: Fortuna racconta i Bonavota

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VIBO VALENTIA «Nel 2005 ho curato la gestione della latitanza di Peppe De Stefano all’interno del villaggio “Garden”. A procurarmi la stanza è stato l’imprenditore Facciolo anche se non sapeva a cosa mi servisse, nel senso che non gli dissi espressamente che il soggetto che doveva occuparla era un latitante, non so se poi lui lo ha intuito. Anche Domenico Bonavota era al corrente di questa latitanza, è stato Giorgio De Stefano chiedermi la cortesia di curare la latitanza di Peppe». È il collaboratore di giustizia Francesco Fortuna (cl. ’80) di Tropea a parlare davanti ai pm della Dda di Catanzaro. Una collaborazione, però, che ha iniziato di fallire subito. «(…) allo stato non sussistono i presupposti per il prosieguo dell’interrogatorio e per la promozione del programma di protezione», scriveva nel primo verbale l’Ufficio, dopo le prime dichiarazioni di Fortuna. Poi le cose sono andate diversamente, con l’ex killer dei Bonavota che ha continuano nel suo percorso, finendo nella schiera di altri pentiti eccellenti della ‘ndrangheta vibonese.

E poi ha raccontato dei primi rapporti con i Bonavota, «sono cresciuto nel loro stesso paese e li conosco da quando ero molto giovane» dice, «ho avuto ottimi rapporti sia con Nicola che con Domenico». E ancora: «Nel 1999 insieme a Domenico Bonavota abbiamo aperto un esercizio commerciale nel settore della zootecnia effettuando una truffa, prendendo della merce senza pagare. Nel 2001 abbiamo aperto un ulteriore esercizio commerciale a nome di Filippo Arcella, effettuando ulteriori truffe». A proposito dei rapporti con la ‘ndrina Bonavota di Sant’Onofrio, Francesco Fortuna ha raccontato ai pm della Dda che «Domenico Bonavota ha sempre rispettato Pantaleone Mancuso tanto da regalagli 20 quintali di uva ogni anno. Tra l’altro lo stesso Pantaleone Mancuso quando doveva chiedere delle estorsioni per dei lavori nel comune di Pizzo li mandava proprio da Domenico Bonavota». E ancora: «So che Luigi Mancuso ha fornito a Pasquale Bonavota l’autovettura utilizzata per il suo matrimonio».

Nelle dichiarazioni rese ai pm dal pentito Fortuna, al centro ancora gli affari dei Bonavota, anche nel Nord Italia. «Sono a conoscenza che parte dei capitali investiti nella società di Mandaradoni erano di Pasquale e Nicola Bonavota. Nell’anno 2000 circa anche io e Domenico Bonavota abbiamo finanziato Mandaradoni per circa 50mila euro che lo stesso ci ha restituito con molta difficoltà. Anche Antonio Serratore finanziò Francesco Mandaradoni». E ancora, spiega Fortuna: «Posso riferire circostanze relative ai viaggi effettuati al Nord Italia e i lavori effettuati insieme a Giovanni Barone. I fratelli Bonavota avevano interessi ad investire dei capitali al Nord Italia. In occasione di questi viaggi, è capitato che sono passato da Roma a parlare con Pasquale Bonavota e nella circostanza ho incontrato anche Vincenzo Alvaro. Quest’ultimo nella circostanza mi chiese se Barone fosse in grado di fare delle fidejussioni bancarie a loro favore».

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Come era già emerso in altre precedenti inchieste, e come peraltro aveva dichiarato il pentito Andrea Mantella, anche il Fortuna ha parlato degli affari dei Bonavota, e in particolare Pasquale, nei videopoker. «II primo a disseminare questi apparecchi in tutto il vibonese è stato lui insieme a dei soggetti napoletani. Quando si è reso conto del giro di affari che creavano, dopo 5/6 mesi ha allontanato i napoletani e si è messo a lavorare da solo». «Anche i Mancuso hanno iniziato a mostrare interesse per questo settore, ingolositi a loro volta dal fatto che fosse molto redditizio e Pasquale Bonavota, per non avere contrasti, ha deciso di vendere tutte le macchinette a Santo Furfaro, mantenendo solo una quota del 50 % degli utili derivanti da quelle istallate nei 9/10 posti più redditizi».

«A Natale e a Pasqua mandavamo fino a 400 cesti alle famiglie»

Il pentito ha consegnati ai pm della Dda un manoscritto, chiarandone alcuni tratti salienti sui legami dei Bonavota con altre consorterie di ‘ndrangheta. «A Pasqua e a Natale il nostro gruppo preparava fino a 300/400 cestini da destinare ad esponenti delle altre famiglie. Sono cose che abbiamo sempre fatto in quanto i Bonavota ci hanno sempre tenuto a questo genere di attenzioni». «Tra queste famiglie posso indicare, ad esempio, gli Alvaro. Ricordo, al riguardo, che io, i fratelli Bonavota, Onofrio Barbieri e altri del mio gruppo ci recavamo spesso da Mico Alvaro detto “Scagliuni”, quando questo era ai domiciliari. Specifico, peraltro, che della sua allocazione se ne occupò Carmelo Lo Bianco detto “Piccinni” di Vibo Valentia».

A proposito della potente cosca Bonavota, Francesco Fortuna ha spiegato ancora ai pm. «Non erano molto legati ai riti di affiliazione, sebbene Vincenzo Bonavota ci tenesse molto a queste cose ed anche i figli erano tutti rimpiazzati. Nella specie so che Pasquale Bonavota ha auto lo “sgarro” e fu lui che non volle mai andare oltre a questa dote, ritenendola l’unica che contava veramente». «Domenico Bonavota, invece, che io sappia, ha la dote del “padrino”. So che loro inserivano nelle copiate i loro amici o comunque soggetti a loro più vicini, senza seguire le regole di Polsi, ossia il fatto di dover inserire alcuni nomi prestabiliti. Nella sostanza si trattava una cosa interna, di cariche assegnate, ma che rimanevano al livello del nostro territorio», ha spiegato infine Fortuna. (g.curcio@corrierecal.it)

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