PROTESTE CONTRO I TURISTI IN ALTO ADIGE/ Il bilanciamento ambiente-turismo-lavoro da non dimenticare

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Per dare un senso ai recenti episodi di intolleranza registrati in Alto Adige bisogna partire con un viaggio distopico, a ritroso nel tempo.

Il 14 settembre 2020 – un’era geologica fa, terribile e saldamente impressa nelle memorie – la Camera di commercio, industria, artigianato, turismo e agricoltura di Bolzano affermava che “è il settore del turismo a pagare il prezzo più alto nella crisi dovuta al Covid: nel primo semestre del 2020 in Alto Adige si sono registrati quasi 6,6 milioni di pernottamenti in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con un calo del 46%. Anche a giugno, quando ormai erano venute meno le restrizioni alla mobilità, vi è stata una diminuzione delle presenze di quasi il 75%.


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In luglio e agosto vi è stato un miglioramento, ma le perdite di fatturato nei mesi precedenti sono state talmente gravi che solo il 22% degli operatori e delle operatrici del comparto turistico ritiene di poter raggiungere un risultato d’esercizio soddisfacente nel 2020. Rispetto allo scorso anno, le imprese segnalano una contrazione del giro d’affari pari all’80% in aprile ed al 71% in maggio”.



Il Presidente dell’ente camerale bolzanino, Michl Ebner, sottolineava anche la necessità di interventi a favore del settore: “Il turismo altoatesino ha pagato un prezzo davvero alto a causa della crisi legata al Coronavirus. È importante continuare a sostenere gli imprenditori e le imprenditrici di questo importante comparto, nonché di tutti i settori ad esso connesso come ad esempio l’organizzazione di eventi, le imprese di autonoleggio, gli impianti di risalita e le agenzie viaggi”.

Torniamo ai giorni nostri, con i lockdown superati, anzi sublimati in un revenge tourism che ha riportato ovunque, anche in Alto Adige, i flussi che si temeva fossero andati definitivamente persi. “L’80% di noi vive grazie al turismo – dice Cristina Pallanch, sindaca di Castelrotto, come riporta La Repubblica -: durante il Covid, con piste e alberghi chiusi, la gente era nel panico”.



Oggi invece i turisti ci sono, ma per alcuni sarebbero perfino troppi. Nasce da qui il cortocircuito amore-odio che sta agitando questi territori e che ha fatto comparire alcune scritte (subito fatte sparire) minacciose, vicino alla cabinovia dell’Alpe di Siusi: “too much”. Sono il termometro di un certo “troppismo”, cioè troppi turisti, troppe invasioni di territori fragili, dove la convivenza uomo-ambiente dovrebbe essere sostenibile.

I manifestini “Tourists go home” sono apparsi un po’ ovunque, frutto di un movimento anti-overtourism lievitato su campagne mediatiche faziose, che mistificano la complessità delle situazioni, additando al turismo (lo stesso che tiene in vita ed evita lo spopolamento delle terre alte, anche in Alto Adige) ogni responsabilità. Slogan comparsi perfino in quota, sulle Tre Cime di Lavaredo, che comunque stanno portando Pusteria e Auronzo a varare contromisure: prezzi rincarati e accessi contingentati.

Mentre la maggioranza di residenti e operatori altoatesini è cauta (“Sono solo proteste isolate, qui ci manteniamo grazie ai visitatori”), alcuni attivisti isolati attirano le facili attenzioni di chi ha identificato da tempo nell’overtourism (una delle parole più cliccate nel 2024, che quest’anno entrerà nello Zingarelli) l’obiettivo nemico su cui puntare le batterie. Ma non bisogna archiviare tutto senza chiedersi un perché e tentare risposte. Anche perché proprio l’Alto Adige conobbe dal 1961 al 1967 una luttuosa stagione in cui dagli slogan si passò agli attentati, quelli ad opera del Bas (Befreiungsausschuss Südtirol, il fronte di liberazione), irredentisti dinamitardi pangermanisti.

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Agricoltura

 

Prima di arrivare a un (improbabile) salto di qualità, è bene considerare gli effetti del grande flusso di turisti qui, e più in generale nelle terre alte, come il rincaro dei servizi o la rarefazione degli alloggi per affitti non turistici.

“È necessario coniugare turismo sostenibile e sostenibilità del turismo – scriveva Vincenzo Zulli, General management & business advisor consultant, University professor, nel saggio “Il turismo di montagna, sfide e opportunità di un settore in trasformazione”,

voluto da Cdp, Scuola italiana di ospitalità e TH Group -. Se da un lato, infatti, appare vantaggioso e necessario – oltre che eticamente corretto – sostenere la domanda emergente verso stili di vita e di consumo più consapevoli, sviluppando un tipo di offerta sempre più varia in relazione a diverse forme di turismo sostenibile, per lo più outdoor, altrettanto importante è che questo tipo di offerta sia accompagnato da modelli organizzativi e imprenditoriali improntati a complessivi criteri di sostenibilità del turismo”.<

“È indispensabile – sosteneva nello stesso volume Magda Antonioli Corigliano, docente di Macroeconomia ed Economia del Turismo all’Università Bocconi di Milano – bilanciare la logica di breve termine, orientata solamente ai risultati economici, con quella di lungo periodo, che li esclude completamente a favore della sola conservazione delle risorse, naturali, culturali, storiche che siano , in una visione di sostenibilità integralista. In altre parole, i concetti di competitività e sostenibilità nel turismo dovrebbero guidare assieme la programmazione strategica, senza mai venire letti disgiuntamente.

Ciò che differenzia il turismo da altre attività economiche, e che rende fondamentale quest’opera di bilanciamento, sta nel fatto che il prodotto altro non è che è la destinazione”.

Proprio quel bilanciamento sembra adesso l’anello mancante, la sutura che sola potrebbe coniugare il rapporto tra ambiente-turismo-lavoro, recependo a smussando le criticità dei residenti, ma agevolando anche la fruizione dei territori in una maniera programmata e davvero sostenibile.

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