La nuova Cupola siciliana, quella del post Messina Denaro, ha paura dell’azione antimafia che il governo di Giorgia Meloni ha attuato fin dal suo insediamento sul 41 bis. Sono i mafiosi che oggi vogliono riprendersi Palermo puntando a far dimenticare la stagione del sangue e delle stragi. E sperano che una Cosa nostra invisibile — immersa nella società, nell’economia e infiltrata nei palazzi — possa far allentare la pressione dello Stato.
«Ora che hanno arrestato Messina Denaro lo potrebbero levare il 41 bis», auspicava, tempo fa, Salvatore Inzerillo, 68 anni, storico trafficante di droga fra la Sicilia e gli Stati Uniti, negli anni Ottanta su di lui aveva indagato il giudice Giovanni Falcone, oggi è tornato stabilmente a Palermo dopo avere scontato una condanna a 15 anni nel processo “Iron tower”. “Messina Denaro è l’ultimo degli stragisti”, insisteva parlando con alcuni fidati amici.
Uno di loro, Filippo Filiberto, pure lui con precedenti per traffico di droga se la prendeva con la presidente del Consiglio: «Questa Meloni, minchia parla come una disonorata: “Non si cambia niente”». E insisteva: «Parla proprio come una disonorata fascista che non è altra… ma come si ci dà il voto ad una come questa». Inzerillo rilanciava: «Stanno facendo tutto questo bordello, che più ne fanno e più non lo levano».
Insomma, il 41 bis, il carcere duro, continua a essere una vera ossessione per i mafiosi. Queste intercettazioni sono state fatte dagli investigatori della Squadra mobile di Palermo e della Sisco, la sezione investigativa del servizio centrale operativo: Inzerillo è uno degli indagati a piede libero del blitz che nei giorni scorsi ha portato in carcere 18 persone.
Queste ultime intercettazioni rivelano non solo le mosse del clan Uditore, ma anche pesanti insulti rivolti alla Presidente del Consiglio.
Il contenuto delle conversazioni, riportato dal giornalista de “La Repubblica” Salvo Palazzolo, ha suscitato forti reazioni nel panorama politico, evidenziando il timore della criminalità organizzata verso le misure adottate dal Governo in materia di legalità e lotta alla mafia.
Siciliano, 54 anni, inviato di Repubblica, salvo Palazzolo è uno dei più attenti cronisti sul fronte delle vicende relative agli affari di Cosa nostra. Negli ultimi tempi si è occupato della scarcerazione dei boss, che dopo condanne all’ergastolo per omicidi e stragi hanno ottenuto permessi premio, nonostante non abbiano mai collaborato con la magistratura. Nelle ultime settimane, infatti, molti irriducibili sono tornati a Palermo in “vacanza premio”. In questo modo i boss hanno potuto riprendere contatti con gli ambienti criminali. In varie telefonate intercettate sarebbero state pronunciate frasi allusive e intimidazioni non molto velate.
Secondo le ricostruzioni, alcuni esponenti del clan avrebbero espresso rabbia nei confronti della Premier Giorgia Meloni, ritenendola responsabile di un clima di maggiore pressione nei confronti delle organizzazioni mafiose. Tra i temi che più inquietano i vertici della criminalità organizzata, emerge ancora una volta la preoccupazione per il regime del 41 bis, misura da sempre contestata dai boss detenuti.
A stigmatizzare i fatti è stato il senatore di Fratelli d’Italia Raoul Russo, membro della commissione Antimafia. “Da indiscrezioni stampa pubblicate dal giornalista Salvo Palazzolo, oggetto di minacce, si evince la notizia di alcune intercettazioni della Squadra mobile di Palermo e della Sisco, la sezione investigativa del servizio centrale operativo, che dimostrano non solo le mosse del clan Uditore ma anche svelano gli insulti contro la Presidente, responsabile di ‘fare tutto questo bordello’ e di ‘parlare come una disonorata’. Il clan mafioso conferma così di temere Giorgia Meloni al Governo della Nazione e teme ancor di più, come una vera ossessione, il regime del 41 bis, il carcere duro. Una notizia che ci rende ancora più determinati nel proseguire la nostra azione politica contro ogni mafia. Il Governo Meloni, sin dai primi atti del suo insediamento, si è impegnato in materia di legalità e di contrasto alle mafie ed oggi va dritto per la sua strada dimostrando, con i fatti, di avere una sola direzione: quella dello Stato e delle sue leggi.”
Le intercettazioni aggiungono un nuovo tassello al quadro delle indagini sulle attività delle cosche palermitane, evidenziando il nervosismo che serpeggia tra i clan di fronte alle recenti misure del Governo in materia di contrasto alla criminalità organizzata. Oltre a confermare l’impegno antimafia e la scelta di campo per la legalità che, da sempre, fanno parte del Dna della Destra. Una lunghissima storia costellata da tante battaglie in Sicilia e in Italia, con un lungo excursus che arriva fino a Paolo Borsellino. Passione e furore che fanno parte integrante di un album di famiglia della destra antimafia: che va dalla eredità storica della bandiera di Paolo Borsellino, passando per Angelo Nicosia, Beppe Alfano e Beppe Niccolai, tra antiche battaglie e nuovi conflitti contro ogni trattativa. Racconti di lotte e conflitti, legati insieme da una convinzione di fondo dell’impegno di persone controcorrente, che hanno spesso pagato con la vita la propria rettitudine e la propria fedeltà ad un’etica, presupposto per una vera lotta a Cosa Nostra, soprattutto in una terra – la Sicilia – dove una volta sconfitta la mentalità della mafia, «diventerà bellissima».
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