Il green manda la Germania in crisi nera. Ma la minaccia più grande arriva dagli industriali

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Il “green” manda la Germania in crisi nera

Scholz o Merz, per gli imprenditori tedeschi poco cambia. L’economia va male e le cose non cambieranno con le elezioni del 23 febbraio: è questo il sentiment diffuso all’interno del mondo datoriale di Germania, alle prese con una recessione dovuta a un mix di cause la cui cura non si intravede all’orizzonte.

A pesare su chi fa impresa sono un alto costo del lavoro e dei contributi previdenziali, le tasse, la burocrazia e i paletti green da rispettare. A fine gennaio, Peter Leibinger, il nuovo leader della Federazione delle industrie tedesche (Bdi, la nostra Confindustria), ha affermato che il mood generale “è il peggiore che abbia mai visto”. Sono in pochi, infatti, a pensare che le cose miglioreranno dopo le elezioni. Il favorito a diventare nuovo cancelliere è Friedrich Merz, leader dei Cristiano-democratici, che nei giorni scorsi ha dichiarato di voler rivedere l’impegno della Germania sul Green deal proprio per non martoriare ancor di più l’economia nazionale.

Sebbene Merz sia percepito, anche per questo motivo, più vicino alle proprie istanze rispetto a quanto non lo fosse il leader dei Socialdemocratici e attuale premier Olaf Scholz, il problema è che le riforme necessarie difficilmente saranno attuate in tempi brevi e riusciranno ad agire in profondità. Lo stesso Merz, per esempio, affermando di voler rivedere i paletti riguardanti la transizione ecologica ha fatto capire che sì, ci sarà un intervento, ma che non sarà uno smantellamento completo. Tra le riforme in programma, il taglio dell’aliquota fiscale per le aziende dal 30 al 20% e una riduzione di almeno cinque centesimi per kilowattora del costo dell’energia.

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Proprio questo punto è al centro della preoccupazione di Petr Cingr, amministratore delegato ceco di Stickstoffwerke Piesteritz (Skw). La tassa sul gas imposta da Berlino nel 2022 è aumentata a inizio anno arrivando a 2,99 euro per megawattora, un prezzo, sostiene Cingr, dieci volte più alto rispetto a quello pagato dai competitor russi e bielorussi (la Skw produce ammoniaca e diammide di acido carbonico). Questo, unito al costo della manodopera e ai certificati che l’azienda è costretta a comprare per compensare le proprie emissioni, rendono impossibile per la Skw pareggiare i conti. “Il Gasumlage [la tassa in questione, ndr] ci sta uccidendo”, ha detto al The Economist Cringr. A gennaio, del resto, l’azienda ha chiuso uno dei suoi due impianti produttivi in Germania e ha ridotto la produzione di fertilizzanti.

Negli ultimi due anni, la produzione industriale della Germania è calata di circa un decimo. La crisi non risparmia nessuno, dai produttori di auto come Volkswagen – che a gennaio ha annunciato 35mila tagli di posti di lavoro entro il 2030 – a chi invece costruisce cavi, come la Lapp, azienda a conduzione familiare con sede vicino a Stoccarda. Come riporta il settimanale britannico, per Matthias Lapp, l’amministratore delegato, la Germania è “il nostro bambino problematico”, perché il -5,3% di vendite rispetto all’anno scorso è imputabile proprio alla prestazione in patria, dove il crollo è stato del 15%, mentre in Asia, America e Medio Oriente la situazione è positiva.

Parlando al giornale Ausburger Allgemeine Nikolas Sthil, capo del consiglio di sorveglianza dell’azienda produttrice di motoseghe che porta il suo nome di famiglia, ha minacciato l’ipotesi di delocalizzare la produzione se il nuovo governo non verrà incontro alle richieste degli industriali. L’azienda, infatti, ha in programma la costruzione di una nuova fabbrica a Ludwigsburg, nel Baden-Württemberg. Se, però, le condizioni di lavoro per chi fa impresa non cambieranno, il nuovo sito produttivo vedrà la luce in Svizzera, dove già avviene parte della produzione della Sthil.

Insomma, il messaggio da parte degli industriali a chi vincerà le elezioni è chiaro: la Germania è a un punto di svolta. Sarà “un anno decisivo per l’industria tedesca”, ha detto Toralf Haag, leader di Aurubis, che produce rame. Dello stesso avviso Bertram Kawlath, vertice di Schubert & Salzer (valvole): “Le nostre aziende di medie dimensioni non chiuderanno, ma non investiranno in Germania se il paese non diventerà più favorevole alle imprese”.

Kawlath è anche a capo della Vdma, l’associazione nazionale dei produttori di macchinari, che riunisce 3.600 membri, la cui maggior parte aziende a conduzione familiare. Per Kawlath e la Vdma uno dei principali problemi è la burocrazia legata alle norme ambientali, come la legge che prevede che le aziende con più di mille dipendenti debbano monitorare sul rispetto, da parte dei loro fornitori, di standard ecologici e diritti umani.



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