Vale la pena leggere la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il quesito abrogativo per il referendum sulla legge 86/24 sull’autonomia regionale differenziata che conteneva un esplicito riferimento alle modifiche della precedente sentenza 192/24 della stessa Corte.
La sentenza cancella questo referendum dal gruppo dei 6 che andranno al voto tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025. Ne restano quindi 5: 4 sui diritti dei lavoratori e 1 sulla cittadinanza. Con il rispetto dovuto alla Corte e pur prendendo atto delle conseguenze delle sue sentenze la decisione di cancellare il referendum abrogativo non convince.
Non convince la decisione di respingere il referendum abrogativo
La Corte di Cassazione nell’ammettere il referendum abrogativo aveva scritto nella sentenza il quesito per il referendum incorporando interamente la sentenza 192/24. Quindi i 25 magistrati della Cassazione che hanno firmato la sentenza ritenevano possibile trasferire il quesito referendario (1.291.488 firmatari) dalla originaria legge Calderoli 86/24 alla versione risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale che l’aveva modificata.
Si ha l’impressione che le sentenze siano solo formalmente 2 ma che in realtà la decisione sia unica in quanto non ammettere il referendum sembra conseguenza prevista già dalla decisione del 10 dicembre 2024 che ha modificato la legge 86/24 “con interventi di tipo caducativo, sostitutivo e additivo, nonché con decisioni interpretative di rigetto” (sic).
La sentenza della Corte costituzionale del 10/25 non ritiene il referendum illegittimo per il suo collegamento a problemi tributari o al bilancio dello stato (tesi sostenute a lungo dal governo) e che la legge 86/24 sia una scelta politica non una necessità discendente dal titolo V della Costituzione e proprio questa valutazione è in contraddizione con la decisione finale, perché riconosce che era possibile seguire altre strade di attuazione, come del resto era stato ampiamente dimostrato.
Il quesito sarebbe privo di chiarezza
Il punto per la bocciatura del referendum è quindi il testo del quesito che la Corte ritiene “privo di quella chiarezza che assicura l’espressione di un voto consapevole”, anche se il quesito riformulato dalla Cassazione “appare formalmente lineare”, quindi le ragioni della bocciatura del referendum sono altrove.
Vediamo meglio. Per la Corte costituzionale “l’art 116 terzo comma richiede che il trasferimento alle regioni riguardi specifiche funzioni e non materie o ambiti di materie e che la richiesta debba essere adeguatamente motivata dalle regioni”(sic) e che per definire i Lep i criteri vigenti “non sono più efficaci, mentre quelli nuovi ancora non ci sono”.
Se ne deduce che una nuova richiesta di referendum sarà possibile dopo l’approvazione di un nuovo testo di legge, ad esempio per definire i Lep.
La Corte costituzionale ammette che ci sono anche le materie non Lep (che potevano a rigor di logica essere oggetto di referendum abrogativo) ma aggiunge che la sentenza 192/24 afferma che occorre preliminarmente definire i Lep ogni qual volta si trasferisce una funzione attinente ad un diritto civile o sociale e questo sarebbe impossibile perché le norme di trasferimento delle funzioni Lep non ci sono più.
La questione dei Lep
Peccato che la maggioranza al Senato abbia appena bocciato la mozione che chiedeva di sospendere le trattative governo/regioni sulle funzioni non Lep e il Ministro Calderoli abbia confermato che le trattative proseguiranno e che dopo la protezione civile arriveranno la previdenza integrativa e i giudici di pace. Funzioni che sembrano riguardare diritti civili e sociali, ma come possono essere trasferiti se non ci sono le norme per i Lep ? Quindi la mozione respinta aveva ragione.
La Corte costituzionale nella sentenza 10/25 conferma i giudizi contenuti in quella precedente 192/24 ma non esplicita come intende ricondurre a ragione il governo e le regioni che proseguono nelle trattative fregandosene delle sentenze. E’ scritto nella sentenza 192/24 che la Corte vigilerà sul rispetto delle sue sentenze. Come ? Quando ? E’ giunto il momento, per quanto irrituale, di rivolgersi direttamente alla Corte denunciando il non rispetto delle sue sentenze, costruendo uno strumento di controllo e di iniziativa..
La Corte esclude dalla devoluzione materie come commercio con l’estero e professioni ma non dice con chiarezza cosa farà sulle altre che ritiene non delegabili come reti nazionali, istruzione, ambiente, ecc.
La Corte afferma di avere lasciato un contenuto minimo della 86/24, ma il governo non la pensa così e persevera diabolicamente nell’atture le legge 86/24.
La Corte definisce il referendum abrogativo non semplice, non chiaro e non coerente e ritiene che la campagna referendaria non possa chiarire quello che è oscuro (cioè il quesito referendario). In questo modo la Corte esprime un giudizio politico sul referendum, evidenziando una sua ritrosia ad attribuirgli il ruolo fondamentalmente democratico che ha nel sottoporre alle elettrici e agli elettori una scelta, avendo fiducia nella loro capacità di farla. Questo è infatti i ruolo che la Costituzione affida, ex articolo 75, ai referendum abrogativi.
L’Italia ha una crisi di partecipazione politica
Va sottolineato che l’Italia ha una crisi seria di partecipazione politica e soffre di una crescita preoccupante dell’astensione elettorale. Fare discutere e votare gli elettori potrebbe essere un buon antidoto. In altre parole la Corte si è sporta in un giudizio che sembra andare oltre i suoi compiti che sono quelli del “giudice delle leggi”. Quello che resta della legge 86/24 non è affatto oscuro per gli elettori, certamente non lo è per i 1.291.488 firmatari che hanno promosso l’abrogazione della legge 86/24. Tanto più che – come ricordato prima – la stessa Corte ritiene questa legge non indispensabile perchè ci sono altre vie per affrontare l’autonomia.
Emerge dalla sentenza della Corte un pregiudizio conservatore là dove afferma la sentenza 10/25 che il referendum possa trasformarsi in un distorto strumento di democrazia rappresentativa (semmai di democrazia diretta) proponendo plebisciti o voti di fiducia nei confronti di chi ha assunto le iniziative referendarie, causando una polarizzazione radicale identitaria sull’autonomia differenziata e in definitiva sull’art 116 c.3. Questa valutazione c’entra poco con il compito del giudice delle leggi, semmai riguarda elementi politici, sociali e di psicologia delle masse.
Si tenga un faro acceso sull’autonomia differenziata
Il referendum abrogativo è uno strumento che viene adottato a fronte di decisioni già prese e quindi non è il referendum che polarizza ma semmai chi ha deciso senza ascoltare e ha la responsabilità di avere approvato una legge che ha polarizzato e diviso, altrimenti c’è un’inversione arbitraria. Il referendum è un possibile rimedio, non la ragione della polarizzazione.
Sono motivazioni francamente non condivisibili ed è auspicabile che la Corte le riveda in future occasioni. Ciò non toglie che la Corte deve comunque mantenere gli impegni che ha preso di fare rispettare le sue sentenze.
Va ripresa un’iniziativa per togliere dal testo del titolo V tutti i punti scivolosi, allineandoli alla sentenza della Corte e introducendo altre modifiche utili al testo del titolo V, mal scritto e peggio interpretato.
Occorre che la società e la politica si assumano l’onere di mantenere un faro acceso sul governo e sulle sue iniziative per impegnare la Corte a fare rispettare le sue decisioni.
Nella campagna referendaria i quesiti debbono restare idealmente 6, quindi nella campagna referendaria l’autonomia regionale differenziata deve essere presente insieme agli altri referendum, vanno sostenuti tutti i 5 referendum approvati, sapendo che anche se le schede consegnate e da votare saranno solo 5 l’autonomia deve restare in campo.
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