Nuovo Giornale Nazionale – TRUMP, GAZA E LA FINE DELL’INFLUENZA NEOCON NEL MEDIO ORIENTE

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Per capire cosa realmente significhi l’idea di Donald Trump di far “comperare” Gaza agli Stati Uniti, senza perdersi nelle banalità del bailamme dei soliti noti, è necessario risalire all’inizio degli anni novanta del secolo scorso. Caduto il muro di Berlino e, poco dopo, anche l’Unione Sovietica, negli Usa è prevalsa la teoria dei neocon che gli Stati Uniti fossero l’unica potenza mondiale che poteva fare quel che voleva, compreso esportare il modello di vita americano. Ci fu persino uno, che dirlo intellettuale è davvero far violenza all’intelletto, il quale  scrisse, avendo successo tra le élite intelligenti, che la storia era finita.

In questa logica, che ha accomunato i repubblicani di Bush con i democratici di Clinton e Obama (con il contorno di Joe Biden) gli Usa hanno pensato di poter fare il bello e il cattivo tempo ovunque.

Bush padre attivò Desert Storm, la prima guerra del Golfo, (2 agosto  1990 – 28 febbraio 1991). Saddam Hussein era al tempo un amico della Cia, come dimostra lo scandalo della BNL di Atlanta.

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Nel 1989, sempre meglio fare un ripassino, la filiale della BNL di Atlanta fu investita da uno scandalo portato all’attenzione dell’opinione pubblica con l’irruzione dell’FBI nei locali della banca il 4 agosto di quell’anno. Lo scandalo concerneva le procedure attraverso cui erano stati concessi irregolarmente degli ingenti prestiti all’Iraq da parte di Christopher Drogoul, all’epoca direttore di quella filiale della BNL.

Saddam Hussein invase il Kuwait, che chiese aiuto agli Usa, i quali si attivarono.

La guerra a Saddam Hussein, una sorta di bufala, fu l’occasione per trasportare tutto quanto di vecchio ed inutile stava nei magazzini Usa in Germania e non solo, dopo che stava venendo meno la ragione del loro essere (Guerra Fredda), nel deserto, presentando il conto al Kuwait, che divenne un alleato di ferro di Washington.

Una discarica simile a quella attuata con l’Ucraina.

Le vittime furono numerose soprattutto dal lato iracheno: 35.000 persone, tra militari e civili, persero la vita e oltre 150.000 soldati furono presi prigionieri. La coalizione guidata dagli Usa, invece, ebbe poco più di 1.000 morti e 70 prigionieri.

Il Kuwait, stato inventato dagli inglesi, divenne caposaldo americano nel Golfo Persico grazie all’invasione di Saddam Hussein nel 1991.  

Gli Stati Uniti misero in Kuwait una serie di basi: Ahmed al-Jaber Air Base (US-Air Force); Ali Al Salem Air Base (US-Air Force); Camp Doha (US-Air Force); Camp Udairi (Kuwait-City – US-Army); Camp Doha (Ad-Dawhah – Quartier Generale della 3ª Armata – US-Army), Ali al-Salem (US-Army).

Nel 2020 il Kuwait ha ribadito l’impegno a sostenere le scelte del popolo palestinese, a differenza normalizzazione delle relazioni tra Emirati Arabi Uniti e Bahrein con Israele.

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Questo è uno degli elementi centrali della questione.

Il punto focale della questione è, tuttavia, il Qatar. E anche in questo caso dobbiamo tornare ai famosi anni Novanta del secolo scorso.

Sin dagli anni ’90 il Qatar ha trovato negli USA una garanzia di difesa ed ha ospitato le truppe americane sul proprio territorio.

La prima istituzionalizzazione di questa partnership avvenne nel 1992 con la firma del Defense Cooperation Agreement (rinnovato nel 2013 con durata decennale), che garantì l’accesso degli USA alle basi in Qatar, la possibilità di dispiegare armamenti e la cooperazione nell’addestramento delle forze armate. 

Nel 1996 è iniziata la costruzione della base al-Udeid, divenuta nel 2003 la sede del CENTCOM: è la più grande base USA in Medio Oriente (ospita circa 11.000 militari), sede del Combined Joint Interagency TaskForce-Syria e del 379 Air Expeditionary Wing.

Le basi di al-Udeid, Camp As Sayliyah ed il porto Hamad assumono per Washington importanza strategica.

I rapporti sono stati assai tesi nel 2017 quando Trump ha accusato pubblicamente il Qatar di sostenere il terrorismo.

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Nel 2018 , nell’ambito della cooperazione bilaterale (Strategic Dialogue USA/Qatar) importante è stata la firma di un memorandum of Understanding per la lotta al terrorismo e del finanziamento al terrorismo.

E qui siamo prossimi alla spiegazione dell’idea di Trump.

Il Qatar è diventato ufficialmente MNNA il 10 marzo 2022, un riconoscimento per “un partner affidabile e capace”, al centro di molti interessi vitali per gli USA dopo che il 31 gennaio 2022 l’emiro Tamim al-Thani è stato il primo leader degli Stati del Golfo a fare visita al presidente USA Joe Biden; un incontro dal forte valore simbolico che ha rinsaldato i rapporti diplomatici, economici ma soprattutto strategico-militari tra i due paesi. La designazione è stata conseguente al ruolo qatariota nel dossier afgano.

Il Qatar è stato strategico nell’evacuazione di militari e civili attraverso la base di al-Udeid nell’agosto 2021 e nel tenere aperti i rapporti con Kabul. Il Qatar, uno dei pochi paesi ad aver tenuto aperta la propria ambasciata a Kabul, ha rappresentato ufficialmente gli interessi USA in Afghanistan,

Altri dossier caldi in cui il Qatar si è reso utile per gli USA sono la questione palestinese e la Striscia di Gaza.

Siamo pertanto in una situazione di perfetta sintonia tra l’Amministrazione Usa guidata dal Partito democratico e (si fa per dire) da Joe Biden.

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Il Qatar è il terzo stato del Golfo (dopo Kuwait e Bahrain) ad essere nominato MNNA.

Un chiaro messaggio per Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, partner di Washington di lungo corso, ma rei di essersi allineati agli Accordi di Abramo.

Gli accordi di Abramo, fortemente voluti da Trump,  sono una dichiarazione congiunta tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, raggiunta il 13 agosto 2020. Successivamente il termine è stato utilizzato per riferirsi collettivamente agli accordi tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti (l’accordo di normalizzazione Israele-Emirati Arabi Uniti) e Bahrein.

La logica degli Accordi di Abramo è quella di stabilizzare il Medio Oriente, con un accordo tra Paesi arabi e Israele che, tra l’altro, consenta di avviare la Via del Cotone, che collega l’India con il porto di Haifa e poi con i porti europei, e di favorire investimenti nell’area, stabilizzando il Mediterraneo e consentendo lo sfruttamento di enormi risorse energetiche.

L’amministrazione democratica Usa a gestione Biden ha ridimensionato le relazioni con l’Arabia Saudita e ha rilanciato l’idea di accordi con l’Iran. L’esatto contrario della logica degli Accordi di Abramo.

L’Iran è il maggior sostenitore di Hamas e il Qatar ne è stato il maggior finanziatore.

Dal 2012, il Qatar ha offerto ospitalità ai leader di Hamas, tra cui Khaled Meshaal, e ha fornito finanziamenti significativi. Questi fondi sono stati spesso giustificati come aiuti umanitari per alleviare le sofferenze della popolazione di Gaza.

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Secondo diverse fonti, il Qatar ha devoluto circa 1 miliardo di dollari dal 2012 al 2021 per scopi umanitari, ricostruzione e assistenza nella Striscia di Gaza. Tuttavia, parte di questi fondi è stata criticata per essere utilizzata anche per scopi militari da parte di Hamas.

I finanziamenti sono stati spesso trasferiti in contanti o attraverso canali ufficiali, con l’approvazione o almeno la non opposizione di Israele in alcuni periodi. Ad esempio, nel 2018, il Qatar ha iniziato a inviare valigie piene di denaro per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici e sostenere le infrastrutture di Gaza.

Il Qatar mira a consolidare la sua posizione come mediatore internazionale nel conflitto israelo-palestinese. Questa strategia ha permesso al Qatar di mantenere una posizione influente sia con Hamas che con altre parti coinvolte, inclusi Israele e gli Stati Uniti.

I finanziamenti hanno però contribuito a rafforzare Hamas militarmente.

Va detto che Israele ha consentito il transito del denaro nella logica del divide et impera, con Hamas nelle Striscia che indeboliva l’Autorità palestinese.

Nei giochi mediorientali niente è chiaro e niente è quel che si vede, ma, in ogni caso, la proprietà transitiva funziona ancora.

Se il Qatar è un alleato di ferro degli Usa, tale è stato nominato da Joe Biden e, al contempo, finanzia Hamas, che fa il gioco dell’Iran e insidia Israele, significa che la Striscia di Gaza, per l’Amministrazione democratica è una sorta di possedimento per interposta persona, così come l’Ucraina è l’interposta persona per confliggere con la Russia.

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La logica dei neocon, in buona sostanza, per stare alla questione di Gaza, era che tenere alta la tensione avrebbe consentito agli Usa di mediare e di tenere in mano anche le sorti di Israele.

Bibi Netanyahu ha fatto saltare il tavolo, ha mandato al diavolo Joe Biden e i neocon, ha messo in atto una strategia di non ritorno che apre agli Usa di Donald Trump scenari completamente nuovi.

La Striscia, “comprata” dai neocon per il tramite dell’alleato di ferro Qatar e schiacciando l’occhio all’Iran, tenuta in ebollizione grazie alla presenza di Hamas, affiliata ai Fratelli Musulmani, come il Qatar, è ora in procinto di essere “comprata” da chi non la vuole usare come spina nel fianco degli Accordi di Abramo e come strumento di controllo di Israele, ma come asset di stabilizzazione, con la trasformazione delle armi in opportunità economiche.

A Gaza il popolo palestinese non è mai stato padrone di sé stesso nemmeno per un momento. Triste verità.

La questione aperta è che la Striscia non può più essere di Hamas, perché il movimento terroristico risponde a padroni che non ci sono più e non è più funzionale alla nuova logica che si sta imponendo in Medio Oriente.

Qualsiasi soluzione ci sia per Gaza deve, pertanto, escludere la presenza di chi ha agito a nome e per conto dell’Iran, del Qatar e, alla fine della catena, degli Usa neocon.

La questione mette anche a nudo la presenza delle organizzazioni pro Palestina e gli aiuti dell’Unione Europea. La vicenda Unrwa non è che la punta dell’iceberg di un gioco perverso, che coinvolge pienamente l’Unione Europea.

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L’Unione Europea, infatti, fornisce finanziamenti a Gaza attraverso vari canali, principalmente tramite l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) e altri programmi di aiuto umanitario e sviluppo.

L’UE è uno dei principali donatori dell’UNRWA, che gestisce gran parte degli aiuti umanitari a Gaza. Nel 2022, il 44,3% del budget dell’UNRWA è stato coperto da stati membri dell’Unione Europea, con un contributo di 520,3 milioni di dollari su un totale di 1,17 miliardi di dollari. Tuttavia, a seguito di accuse di coinvolgimento di alcuni dipendenti dell’UNRWA negli attacchi di Hamas del 7 ottobre, alcuni paesi dell’UE, tra cui l’Italia, hanno sospeso o rivisto i loro finanziamenti.

L’UE fornisce assistenza umanitaria diretta, che include cibo, assistenza sanitaria e supporto per l’accesso all’acqua ed energia. Gli aiuti sono stati quadruplicati dopo l’inizio del conflitto tra Israele e Hamas, raggiungendo oltre 100 milioni di euro. Questi fondi sono spesso canalizzati attraverso agenzie delle Nazioni Unite e altre organizzazioni per evitare che finiscano nelle mani di gruppi militanti.

Nel corso del 2023 e 2024, l’UE ha avviato diverse revisioni dei suoi finanziamenti per garantire che non finanzino indirettamente attività terroristiche, specialmente dopo gli attacchi di Hamas. L’Unione ha confermato che, dopo queste revisioni, non sono state trovate deviazioni di fondi verso gruppi terroristici, permettendo così la continuazione degli aiuti.

L’esternazione di Donald Trump che dice che gli Usa “compreranno” la Striscia va pertanto inserita in questo contesto e segue la stessa logica che ha messo a nudo Usaid.

In effetti la Striscia non è mai stata davvero dei palestinesi, ma è stata usata come base per mantenere in fibrillazione il Medio Oriente.

In una logica di stabilizzazione dell’area e di possibili accordi internazionali su più fronti, Gaza come spina irritativa non è più disponibile.

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