Il triste primato della Toscana: il suicidio assistito è legge

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Vince la strategia dei radicali, pèrdono tutti. Si può riassumere così quanto deciso con il voto di ieri, 11 febbraio, al Consiglio regionale della Toscana, che è diventata la prima regione italiana ad approvare una legge sul suicidio assistito. La legge – che si intitola “Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte costituzionale 242/2019 e 135/2024” – è passata con 27 voti favorevoli (22 consiglieri del Partito Democratico, 2 di Italia Viva, 2 del Movimento Cinque Stelle, 1 del Gruppo misto), 13 contrari (6 Fratelli d’Italia, 6 Lega, 1 Forza Italia) e 1 non espresso (Lucia De Robertis, del PD).


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Come già spiegato sulla Bussola, il testo approvato ieri prende le mosse dalla proposta di legge (Pdl) di iniziativa popolare promossa dall’Associazione Luca Coscioni. La Pdl era stata emendata in tutti i suoi sei articoli in Commissione Sanità, che aveva modificato anche il titolo e il preambolo proposti dai radicali, peraltro con il parere favorevole dello stesso comitato promotore che aveva lamentato solo l’allungamento dei tempi (in ogni caso, molto rapidi) per la verifica dei requisiti e la definizione delle modalità di attuazione del suicidio.


Ieri il Consiglio regionale toscano ha approvato tutti gli emendamenti predisposti dalla maggioranza del PD, con due limitate modifiche al preambolo e all’emendamento sull’istituzione della Commissione multidisciplinare che dovrà valutare la sussistenza dei requisiti per accedere al suicidio assistito (su richiesta del forzista Marco Stella si specifica che il medico palliativista, uno dei cinque membri della Commissione, debba avere esperienze specifiche in cure palliative).


I consiglieri regionali che hanno sostenuto la legge – compreso il presidente della Regione, Eugenio Giani – l’hanno da un lato salutata come una conquista di civiltà; dall’altro, hanno cercato di minimizzarne la portata, presentandola come una legge meramente organizzativa e procedurale, in attuazione di quanto disposto dalle sentenze della Corte costituzionale richiamate nel titolo: la 242/2019, che definisce i quattro requisiti in presenza dei quali l’aiuto al suicidio non è punibile (la persona deve essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, avere una patologia irreversibile, ritenere intollerabili le sofferenze fisiche o psicologiche legate a tale patologia, sviluppare in modo libero il proposito di suicidarsi); e la 135/2024, che si sofferma su come intendere il requisito dei trattamenti di sostegno vitale.


Resta il fatto che la stessa Corte costituzionale si è rivolta, chiedendo un intervento sulla materia, al Parlamento nazionale, non alle Regioni. E, fino a ieri, proprio il tema della competenza dello Stato aveva avuto un suo importante effetto deterrente contro l’approvazione di analoghe proposte in altre Regioni, pur con differenze tra le stesse. Il Consiglio regionale della Toscana invece ha tirato dritto, limitandosi ad affermare nel testo – in linea con la proposta originaria dei radicali – che la legge regionale cederà sostanzialmente il passo a una eventuale successiva «disciplina statale» (art. 4 quater).


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Ma questo escamotage lascia aperti sia i profili di incostituzionalità di questa legge sia, prima ancora, i gravi problemi etici. Aspetti entrambi richiamati anche da Pro Vita & Famiglia con un comunicato in cui si chiede al Governo di «impugnare immediatamente la legge toscana con un ricorso in Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sulla base delle motivazioni già esposte dall’Avvocatura dello Stato quando si è espressa contro le iniziative regionali. Simili proposte di legge sono già state respinte dai Consigli Regionali di Veneto, Lombardia e Piemonte. In gioco non c’è solo il rispetto della Costituzione, ma soprattutto la tutela delle vite più fragili, che dovrebbero essere difese, curate e accompagnate nella fase finale con vicinanza, cura e compassione tramite un’applicazione effettiva delle cure palliative previste dalla Legge 38/2010».


Tornando al merito della legge regionale, essa prevede che le Ausl istituiscano una Commissione multidisciplinare di cinque membri, «individuati su base volontaria, nell’ambito del personale dipendente» delle stesse aziende sanitarie locali. I cinque membri dovranno essere un medico palliativista, uno psichiatra, un anestesista, uno psicologo e un medico legale (art. 3). Per loro è previsto un rimborso spese.


La Commissione deve verificare che il paziente abbia i requisiti per il suicidio assistito entro trenta giorni dal ricevimento della domanda, più massimo cinque giorni di proroga per accertamenti clinici. In via preliminare la Commissione dovrà verificare che il paziente sia stato informato sulla possibilità di accedere alle cure palliative (passaggio, questo, assente nel testo dei radicali). Piccolo inciso: non è stato neanche discusso, per questioni tecniche, un emendamento di Marco Stella che chiedeva che il percorso di cure palliative fosse un pre-requisito necessario, prima di poter eventualmente accedere al suicidio assistito.


Poi, la Commissione chiede un parere al Comitato per l’etica (già previsto dalla legge regionale 40/2005), che deve esprimersi entro venti giorni. Quindi l’Ausl comunica al paziente il suddetto parere e, se questo è favorevole al suicidio, ci sono altri tre passaggi: entro dieci giorni si definiscono le modalità di attuazione del suicidio assistito; entro cinque il Comitato per l’etica esprime il suo ulteriore parere; e infine, entro sette giorni dall’ultimo benestare, fatta salva la possibilità che il paziente cambi idea, il personale della Commissione prepara il necessario per l’«autosomministrazione del farmaco autorizzato» con cui il paziente si suicida.

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Questa, in sintesi, la squallida procedura di morte approvata ieri dal Consiglio regionale della Toscana. In pratica d’ora in poi, entro massimo due mesi e mezzo circa – tempi che i malati bisognosi di cure spesso si sognano –, il suicidio sarà servito direttamente da chi appunto dovrebbe curare: il servizio sanitario.


L’ennesima “conquista di civiltà” dei nostri tempi è in realtà «un manifesto ideologico», figlio di una cultura «laicista e individualista», come ha detto Giovanni Galli (Lega). Un manifesto approvato proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra la Madonna di Lourdes e con essa, da 33 anni a questa parte, la Giornata Mondiale del Malato. Non è bastato dunque il richiamo dei vescovi toscani di usare il servizio sanitario «per migliorare le condizioni della vita e non per dare la morte» ai malati. I cattolici del PD hanno preferito assecondare le sirene radicali, piuttosto che l’insegnamento di sempre della Chiesa.


Nelle forze di centrodestra, pur con distinguo emersi anche in aula, c’è stato un no compatto sul voto al testo finale. Ma non tutti hanno combattuto davvero la legge. Nella Lega, il leader Matteo Salvini ha lasciato “libertà di coscienza”. Una malintesa libertà, visto che la retta coscienza presuppone l’adesione alla verità e al bene, che equivale a proteggere la vita umana, tanto più se fragile.

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