«Io non rappresento né un partito né uno Stato, rappresento l’Europa». È stata questa la linea di Raffaele Fitto fin dall’inizio, illustrata nell’audizione da commissario designato e negli innumerevoli colloqui che egli ha avuto in Ue con tutti i gruppi parlamentari e con tantissimi esponenti di qualsiasi partito e con singoli euro-deputati specialmente quelli che si erano espressi contro la sua vicepresidenza (se uno lo attacca, Fitto gli telefona e lo incontra: da eterno democristiano). La linea del faccio gli interessi dell’Europa perché è l’Europa che rappresento sarà proprio quella che da mercoledì in poi, se nell’assemblea plenaria del 27 novembre la commissione Ursula otterrà il voto finale e diventerà operativa, Fitto metterà in pratica una volta dismessi i panni di ministro italiano e indossati quelli da neo-vicepresidente comunitario.
E in questa veste, concentrandosi sul Pnrr insieme al commissario Domborvskis, e dei fondi di coesione, del turismo, della pesca, dell’agricoltura, si occuperà anche dell’Italia che nel piano di rilancio europeo è magna pars. I tempi di attuazione del Pnrr, per i quali si era aperto da parte del Mef alla possibilità di uno slittamento del termine ultimo dal 2026 al 2027, resteranno quelli stabiliti in origine e Fitto non li dilaterà. Anche perché, avendo lavorato direttamente alla “messa a terra” di questo programma, non ha mai mostrato dubbi sulla sua fattibilità nel rispetto cronologico che si era stabilito. Le sue deleghe saranno molto pesanti. E il lavoro che è stato fatto, da lui, dal sistema Italia e dal contesto europeo che gli è più che familiare e che lo considera in maniera pluripartisan e weberianamente un «politico di professione» affidabile e capace, ha consentito di raggiungere il successo che è sotto gli occhi di tutti. Si tratta adesso di vedere con quanti voti mercoledì passerà in aula a Strasburgo la commissione von der Leyen: se saranno di più o di meno dei 401 che Ursula prese a luglio. In vista dello scrutinio non ci sono certezze, salvo il fatto che a von der Leyen basterà la maggioranza semplice per passare. La presidente può permettersi una serie di defezioni rispetto a quota 401. Un nodo politico poi da verificare sarà questo: se il patto di legislatura tra popolari, socialisti e liberali resterà intatto (occhi ai franchi tiratori e al fuoco amico) oppure se su alcuni dossier si creeranno, spostando l’asse più a destra, maggioranze variabili con Ecr o una parte di Ecr.
I FATTORI
In ogni caso, gli ostacoli sono stati superati e, per quanto riguarda il successo di Fitto, hanno giocato sei fattori. Il primo: la sua capacità di tessitore felpato nell’Europarlamento e di secchione sui vari dossier nella stanza al nono piano di palazzo Carlomagno a Bruxelles di fronte alla sede della Commissione, senza dichiarazioni pubbliche e con una postura precisa: «Io non parlo dell’Italia – ha detto durante l’audizione – perché sono stato indicato il 30 agosto per l’Europa. Io parlo del mio portafoglio e delle questioni che tratterò se verrò votato». E quando una esponente verde spagnola lo ha attaccato chiedendogli dei «legami con il fascismo», lui: «La ringrazio molto per la domanda molto costruttiva» (sorrisi dei presenti). E poi (da vero democristiano e in mezzo ad altri sorrisi dei presenti): «Se ci incontreremo, qualche punto di contatto, nonostante le sembri impossibile, lo troveremo». Il secondo fattore: il rapporto personale e politico solidissimo con von der Leyen e Weber. Il terzo: la sintonia con Meloni (i due si capiscono al volo, e Fitto entrò in FdI nel 2018 quando quel partitino era al 2 per cento). Il terzo: la credibilità internazionale conquistata dalla premier italiana. Il quarto: il sostegno degli ex presidenti (Prodi) ed ex commissari Ue d’ogni colore politico: Tajani (che da ministro si è speso infinitamente per Fitto con il Ppe di cui è uno dei massimi esponenti di vertice), Gentiloni, Bonino, Monti. Cinque: la sponda di una parte determinante del Pd che ha trascinato l’intero partito, fino a Schlein, a favore di Fitto (Bonaccini, Nardella, Decaro, Zingaretti, Picierno, per non dire l’indipendente Casini che da subito ha insistito a favore del vicepresidente italiano ma europeo). Sesto fattore, davvero determinante: il sostegno di Mattarella. Ha ricevuto Fitto al Quirinale due volte in questa fase delicatissima, manifestando il suo caloroso appoggio che si è rivelato fondamentale per bagnare le polveri di chiunque stesse facendo l’incendiario. Ora, tocca al mercoledì dei leoni, ma non sarà un safari.
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