Premette che quello che dice lo dice «da ingegnere». Perché poi aggiunge di non essere «esperto» circa la forma che devono prendere simili finanziamenti. Premette anche che è «il primo a ritenere che questo è un progetto importantissimo per il nostro Paese». E poi l’amministratore delegato del Gruppo Fs Stefano Donnarumma dice questo, del Pnrr, «da un punto di vista ingegneristico» nella sua audizione in commissione Trasporti della Camera: «Avrei pianificato le attività dedicate alle ferrovie in maniera diversa. Mi riferisco al soggetto attuatore e alla decisione presa a suo tempo circa i 25 miliardi. Una parte poteva essere per lo sviluppo di nuove infrastrutture e, parimenti, una parte dedicata al rifacimento delle infrastrutture esistenti, portando a un beneficio. Ma tutti sono stati destinati allo sviluppo di nuove infrastrutture, evidentemente perché doveva essere fatto così». Tra l’altro, aggiunge l’ad del Gruppo Fs di fronte ai deputati della commissione Trasporti, «in questo modo, considerando che la pianificazione prende mediamente 10 anni, dalla progettazione alla realizzazione, si è verificata una contemporaneità di tutti questi cantieri che sta portando a una congestione. La filiera è in fortissimo affanno. Si finisce quasi per spostare le truppe, perché non si riesce a trovare la copertura a volte di mano d’opera e a volte di materiali, facendo elevare i costi».
Sottolineato questo, Donnarumma assicura comunque che i lavori in ambito Pnrr sono in fase avanzata e anche che non ha mai pensato a una privatizzazione del gruppo. «A dicembre scorso sono stati consuntivati 12 miliardi di euro di investimenti legati al Pnrr, ne restano da realizzare altri 13. Però la maggior parte dei cantieri sono in svolgimento e molti di questi sono in fase molto avanzata. Consideriamo quindi che al giugno del 2026 l’avanzamento delle nostre attività può consentire il raggiungimento di buona parte degli obiettivi a noi assegnati».
Tra l’altro lo sforzo delle ferrovie non si conclude con il Pnrr, sottolinea Donnarumma. Guardando al piano decennale gli investimenti «sono ben superiori ai 60 miliardi e si avvicinano di più a un centinaio di miliardi». Dal punto di vista finanziario, «le Ferrovie dello Stato tra tutte le proprie attività fratturano nell’intorno dei 16 miliardi» con un «margine operativo lordo che si attesta a meno di 2 miliardi e gli utili mediamente nella nostra azienda sono o di poco positivi o di poco negativi ma si aggirano molto più frequentemente nell’intorno dello zero».
L’ad del Gruppo Fs ha risposto a diverse domande poste dai deputati presenti in commissione Trasporti e per quanto riguarda la questione privatizzazione delle Fs la risposta è netta: «Non ne ho mai parlato»: «Noi stiamo parlando di un perimetro di rete specifico che è contenuto all’interno di Rfi che rimarrebbe nella proprietà di maggioranza del gruppo Ferrovie dello Stato e quindi sotto il controllo pubblico e che vedrebbe solamente un contributo di finanziamento nella forma che bisogna identificare che non è assolutamente detto che debba essere di privati ma può essere strutturata secondo diverse modalità».
L’audizione di Donnarumma è per il capogruppo M5S in commissione Trasporti alla Camera, Antonino Iaria, la «certificazione delle responsabilità abnormi del governo sui guai del nostro trasporto ferroviario»: «Le parole dell’Ad di Fs Donnarumma sulla mancata pianificazione tra Pnrr e cantieri ordinari, evidenziano l’incapacità del ministero di gestire in modo efficace i fondi e le opere. Questo non fa che confermare ciò che il M5S ha sempre denunciato: l’incompetenza di Salvini nel gestire le infrastrutture, l’impatto devastante del Ponte sullo Stretto sulle finanze pubbliche e il costo di queste scelte sbagliate che ricadrà sui cittadini. C’è poi l’idea assurda idea del governo di privatizzare FS, declinata in due versioni: una più netta e disastrosa e una più edulcorata, ma comunque sbagliata. Da un lato, la visione più radicale di Meloni-Giorgetti, che per ridurre il debito puntano a una privatizzazione netta dei nostri asset più importanti: un film dell’orrore, di quelli della peggior specie. Dall’altro una versione più attenuata, che tenta di bilanciare l’esigenza di attrarre investimenti privati con il mantenimento di un certo controllo pubblico. Tuttavia, il vero nodo della questione resta la gestione delle risorse, e qui torna in ballo sempre lui, il ponte sullo Stretto: il fatto che una parte dei fondi di FS venga dirottata per quest’opera, ancora priva di un progetto esecutivo tanto che il Cipess ancora non si esprime, dimostra una pianificazione quantomeno fallimentare. Il tragico tandem Salvini-Meloni continua a dimostrare un approccio miope e propagandistico, più attento agli annunci che alla reale risoluzione dei problemi. L’Italia avrebbe bisogno di un piano infrastrutturale serio, sostenibile e ben coordinato. Non di un’infrastruttura elefantiaca che rischia di diventare un buco nero. Salvini, tra una sparata su Musk e un’altra sui concordati fiscali, di trasporti non si occupa più. E la mazzata di oggi di Donnarumma conferma il suo fallimento».
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