Basket, Giampaolo «Pippo» Ricci, capitano dell’Olimpia: «Milano mi piace perché va a 200 all’ora. A fine carriera? Sfrutterò la laurea in matematica»

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di
Francesco Sessa

Il campione e i progetti per il futuro: «Non so dove vivrò, ma Milano a oggi è la favorita». Coppa Italia ed Eurolega: «Può succedere di tutto»

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Giampaolo o Pippo?
«Pippo».

Da oggi Final Eight di Coppa Italia: il pronostico di Pippo Ricci, capitano dell’Olimpia Milano?
«Non c’è una favorita. Il livello globale si è alzato».




















































Si parte forte, contro la Virtus Bologna alle 20.45.
«Può essere un vantaggio: un successo contro i nostri più grandi rivali ci darebbe una grande spinta. Ma tornare a casa già stasera sarebbe una delusione».

Vittorie a Kaunas e Sassari, dopo il ko a Monaco: arrivate in fiducia?
«Sicuramente. Però non siamo ancora molto costanti, stiamo capendo chi siamo e anche le sconfitte aiutano. Per il lavoro che abbiamo fatto, ci meriteremmo questa coppa: ci teniamo molto, a Kaunas lo abbiamo dimostrato».

Dopo le Final Eight, ci sarà la volata finale in Eurolega.
«Siamo lì, nel gruppone in corsa per i playoff: se ci qualifichiamo, poi può succedere qualunque cosa. Le stagioni possono cambiare da un momento all’altro e questo è il momento».

Come vive le sfide da ex contro la Virtus?
«Il primo anno le sentivo tanto: ero stato capitano a Bologna e venivo dallo scudetto vinto. Ma adesso sono al 100% un uomo Olimpia».

Nel vortice di un calendario intenso, quanto c’è di extra basket nella sua quotidianità?
«Staccare la spina è fondamentale. Nel tempo libero guardo serie tv o trasmissioni come Masterchef: in squadra facciamo il Fanta-Masterchef, ognuno ha scelto un paio di concorrenti su cui puntare».

Il suo piatto forte?
«Orecchiette con i broccoli». 

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Nel suo tempo libero ci sono anche la matematica (si è laureato nel marzo 2023) e l’attività con la famiglia in Tanzania.
«Con il progetto Amani Education, abbiamo costruito una scuola secondaria a Kisaki: circa 90 tra ragazzi e ragazze vivono lì. Seguo il progetto tra mail, social, eventi da programmare, business plan da confrontare. Tutto è partito dai miei genitori, che hanno vissuto in Tanzania nel 1989 e nel ’90: mio fratello è nato lì. Ci andrò quest’estate».

Un valore che le hanno trasmesso i suoi genitori?
«L’altruismo, il pensare agli altri. Noi siamo cattolici, seguiamo messaggi come “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te” e “Aiuta il prossimo”».

La società di oggi è poco altruista?
«Onestamente sì. Ci stiamo un po’ chiudendo. Mi sta stretto il finto altruismo, quello di facciata: la storia Instagram che pulisce la coscienza. Questa sensibilità mi ha spinto a fare azioni concrete e mi è utile in campo: ci sono i momenti in cui devi guardare gli altri ed essere felice anche se giochi poco».

Però ammetta: vorrebbe giocare di più.
«Il mio pensiero è: se non gioco quanto vorrei, c’è un motivo. Ho imparato a lasciare andare quello che non posso controllare. E se penso al mio percorso, partendo da zero, sono solo grato».

Il compagno più forte con cui ha giocato?
«Milos Teodosic».

L’avversario più duro?
«Nikola Mirotic. Per fortuna ora gioca con me».

Si vive bene a Milano?
«È una città che va a 200 all’ora e questo mi piace: io mi annoio facilmente, e Milano mi permette di non fermarmi mai. Non so dove vivrò in futuro, ma Milano a oggi è la favorita».

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Dopo la carriera, si vede nel mondo del basket?
«Credo che farò altro: so che ho le energie e le capacità per nuove sfide. Vorrei sfruttare la matematica, magari fare un Master e lavorare in azienda».

A proposito di matematica: qual è la formula per vincere le Final Eight?
«Amo la matematica perché non sbaglia mai, però non prevede una componente emotiva, mentre il basket sì. Più che una formula, penso a una frase: “Make it happen”. Crederci e farlo accadere».

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