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egli ultimi anni si parla sempre piĆ¹ frequentemente di femminismo anche in Italia, nei giornali, in televisione, negli spazi culturali, ma spesso senza approfondire realmente cosa significhi o quali siano le sue implicazioni concrete. A livello di dibattito pubblico le posizioni che emergono e ricevono maggiore visibilitĆ sembrano essere quasi sempre quelle legate a (presunte) pratiche censorie, che finiscono per appiattire la complessitĆ dei discorsi. I femminismi, cosƬ, vengono spesso ridotti a una questione di normazione linguistica o formale, trascurando e oscurando le lotte e le pratiche portate avanti dai movimenti, in particolare quelli piĆ¹ radicali, che rimangono relegati ai margini della narrazione pubblica.
Questa visione semplificata tende a rendere invisibili gli sforzi per affrontare le sfide piĆ¹ profonde e complesse: la pluralitĆ dei posizionamenti politici, le pratiche di cura collettiva, la gestione dei conflitti, sia interni che esterni ai movimenti, e i tentativi di superare il punitivismo come unica forma di giustizia possibile. Spesso si ignora il lavoro collettivo di chi cerca di comprendere e affrontare le questioni difficili, come la gestione dei casi di molestie e violenza allāinterno dei movimenti stessi. PerchĆ©, sƬ, nessuna di noi ĆØ esente: siamo tutte figlie di un sistema violento, patriarcale e intriso di dinamiche di oppressione.
Nel 2024, allāinterno della collana Culture Radicali, curata dal Gruppo Ippolita, ĆØ uscito Per una giustizia trasformativa. Una critica alla cancel culture di adrienne maree brown, a cura del collettivo bolognese Dalla Ridda. brown si definisce āfacilitatrice, mediatrice, scrittrice, donna nera meticcia, sopravvivente queer, pensatrice visionaria, guaritrice, doulaā, e tra il 2022 e il 2023 la casa editrice Nero aveva giĆ pubblicato la traduzione (in due volumi) del suo libro Pleasure Activism. Il volume edito da Meltemi contiene la traduzione italiana del libro We Will Not Cancel Us And Other Dreams of Transformative Justice, pubblicato da AK Press con la postfazione di Malkia Devich Cyril, e un testo del Laboratorio Smaschieramenti. Con questo libro ā che ĆØ soprattutto una riflessione sulle pratiche politiche collettive ma anche sulla propria pratica di scrittura, in cui lāautrice fornisce anche un glossario-riflessione ā brown afferma la sua speranza di creare āun piccolo volume in grado di donarci piĆ¹ opzioni, piĆ¹ pazienza, piĆ¹ gentilezza e spazio per guarire insiemeā.
Lāespressione cancel culture negli ultimi anni ĆØ stata molto presente nel dibattito pubblico ā e dal dibattito statunitense ĆØ stata calata in quello italiano ā e viene usata in sostanza per implicare che certe lotte politiche avrebbero il solo scopo di silenziare o cancellare persone, esperienze, realtĆ , a favore di un āpensiero unicoā che vorrebbe normare tutto ciĆ² che non ĆØ politically correct. Il testo di brown dimostra che non ĆØ cosƬ: le attiviste e i collettivi politici riflettono moltissimo sui call out, ovvero quelle pratiche di accusa pubblica nei confronti di persone che agiscono violenza, o che portano avanti comportamenti, pratiche commerciali e culturali abusanti o tossiche.
I femminismi vengono spesso ridotti a una questione di normazione linguistica o formale, oscurando le lotte portate avanti dai movimenti, in particolare quelli piĆ¹ radicali, che rimangono relegati ai margini della narrazione pubblica.
Il call out nasce come strumento di attacco al potere, dal basso verso lāalto, dal margine verso il centro, da parte di chi ha meno potere nei confronti di chi ne ha di piĆ¹. Si tratta di uno strumento di lotta che, servendosi anche della tecnologia e della possibilitĆ di raggiungere molte persone grazie ai social network, ha contribuito a cause importanti. Si pensi, per esempio, alle accuse pubbliche di stupro nei confronti di uomini famosi e potenti, alla denuncia pubblica di aziende e cooperative che sfruttano lavoratori e lavoratrici, alle pratiche di attacco collettivo a politici che sfruttano il loro privilegio a scapito della cittadinanza, per arrivare alla messa in discussione delle posizioni di chi si dichiara femminista per poi perĆ² sfruttare questa etichetta per fini legati al successo o al ruolo sociale, escludendo del tutto la prospettiva di classe. Ć importante perĆ² tenere conto del fatto che non tutti i commenti negativi mossi a una persona o a un gruppo di persone possono definirsi call out: cāĆØ differenza, per esempio, tra call out e critica negativa (che puĆ² esprimersi attraverso lāopinione di una singola persona, attraverso la recensione negativa di un libro o di un prodotto culturale ecc.). Un call out ĆØ (o, almeno, dovrebbe essere) solitamente costruito collettivamente, ragionando su piani politici e sociali, per portare alla luce episodi di discriminazione, abusi di potere, violenza.
Questa pratica, tuttavia, soprattutto a partire dal 2020, con lāinizio della pandemia da Covid-19 (anno in cui adrienne maree brown scrive i testi nel volume di cui stiamo parlando), sembra essersi diffusa anche allāinterno di contesti politici non istituzionali, spesso adottata da attiviste nei confronti di altre attiviste o da collettivi verso altri collettivi. Questo spostamento rende evidente come il call out, sebbene possa essere uno strumento utile per affrontare squilibri di potere, possa essere potenzialmente deleterio quando viene usato āorizzontalmenteā, tra persone o gruppi che condividono obiettivi politici comuni o affini. Il tentativo di brown, in questo contesto, ĆØ riflettere criticamente su tali pratiche e metterne in evidenza i limiti, proponendo un approccio alternativo al punitivismo. La sua posizione si allinea alle pratiche di giustizia trasformativa, un paradigma che piĆ¹ che punire, cerca di affrontare i danni e le ferite in modi che promuovano la cura, la responsabilitĆ e la trasformazione collettiva. Sebbene il libro non entri in unāesposizione dettagliata di queste pratiche, offre comunque alcuni spunti significativi, incoraggiando a immaginare modalitĆ di gestione dei conflitti che non perpetuino le stesse dinamiche oppressive contro cui i movimenti lottano.
Ci troviamo in uno stato di āaffaticamento apocalitticoā, afferma brown: abbiamo molta paura, viviamo nella precarietĆ economica, sociale e āpensiamo che riuscire a identificare con chiarezza un nemico, qualcuno fuori da noi che possiamo biasimare, che ĆØ colpevole, che ĆØ lāorigine del danno, ci metterĆ al sicuroā, spesso dimenticando che il trauma, la fatica, la paura, possono alterare la nostra comprensione di cosa ĆØ abuso e di cosa ĆØ conflitto, portandoci lontano da un senso di appartenenza reciproca, di interdipendenza, di possibilitĆ di far parte di qualcosa di ācollettivo e decolonizzanteā. Alzare la voce non significa essere ascoltate e ricevere cura, e non ĆØ sufficiente per costruire un futuro in cui il danno smetta di ripetersi ovunque intorno a noi. Ci spaventa quanto il danno sia diffuso e costante, e questo ci spinge a voler puntare il dito e ācancellareā rapidamente le persone che identifichiamo come ācattiveā, ma questo alla lunga rischia di prosciugare tutte le nostre energie, le nostre speranze, i nostri desideri di una vita migliore e collettiva. āIn quanto movimenti che cercano di interrompere i cicli di danno e abuso, come facciamo a sostenere, dopo che hanno parlato, le persone sopravviventi e coloro che hanno causato danni in quanto membri della comunitĆ ?ā si chiede brown.
La rabbia ĆØ unāemozione legittima, a volte protegge, ĆØ motore di ribellione contro le ingiustizie, ma chi puĆ² dirsi davvero priva della possibilitĆ di sbagliare, chi puĆ² affermare di non aver mai ferito, avuto comportamenti tossici e abusanti, in un mondo sempre piĆ¹ basato sulla violenza? Questo non significa mettere tutte le violenze sullo stesso piano, e nemmeno evitare che le persone si prendano le responsabilitĆ delle loro azioni, ma anzi trovare nuovi modi, creare nuovi spazi in cui questo sia possibile. Concentrarci sulle origini degli abusi, affrontarli collettivamente senza eliminare le persone bensƬ chiamandole a prendersi davvero la responsabilitĆ dei danni che hanno agito, chiederci perchĆ© e, come afferma Giusi Palomba ne La trama alternativa, provare a ātenere tutto insieme [ā¦] contemplare due o piĆ¹ tensioni nello stesso momento [ā¦] stare in uno spazio ā sicuramente scomodo e non sempre semplice e possibile da concepire ā necessario alla riparazione e alla trasformazione, e riempirlo con tutto ciĆ² che serve a questi due processiā.
Il call out, sebbene possa essere uno strumento utile per affrontare squilibri di potere, puĆ² essere potenzialmente deleterio quando viene usato āorizzontalmenteā, tra persone o gruppi che condividono obiettivi politici comuni o affini.
Lāoperazione che il collettivo Dalla Ridda ha fatto per la traduzione italiana del testo di brown ĆØ interessante e importante: prima di tutto in quanto pratica politica incarnata nello sforzo della traduzione collettiva, ma anche per la scelta di includere nel volume un testo del Laboratorio Smaschieramenti, collettivo bolognese attivo dal 2007, che colloca le riflessioni del testo di brown, fortemente situate geograficamente, nel contesto italiano. Lo scritto di Smaschieramenti, dal titolo āCi siamo cancellate? Note su giustizia trasformativa e soggettivazione vittimaria nel contesto italianoā, ĆØ situato allāinterno dei movimenti transfemministi italiani, ma emergono da questa riflessione degli spunti molto stimolanti in senso piĆ¹ ampio. Intanto il collettivo racconta la propria nascita a partire da un workshop inteso come āuno spazio di confronto e autoinchiesta sul desiderio (del) maschileā e del proprio lavoro di riflessione e decostruzione sulla maschilitĆ , delle relazioni, dei desideri. Ponendosi poi in dialogo col testo di brown e con il giĆ citato La trama alternativa di Palomba, il collettivo ne sottolinea pregi e (a loro parere) difetti o parzialitĆ , facendo emergere le difficoltĆ di praticare la giustizia trasformativa in unāItalia cosƬ digiuna di riflessioni di questo tipo e cosƬ segnata socialmente e culturalmente dal punitivismo.
Il punto di partenza di questo testo, perĆ², pare essere una riflessione a partire dal concetto di āsoggettivazione vittimariaā proposto da un importante saggio di Daniele Giglioli, Critica della vittima. Il collettivo bolognese si chiede perchĆ© āsembra sia scomparsa la possibilitĆ di prendere parola, di prendere spazio, di rivendicare potere a partire da una condizione marginalizzata senza ricorrere al meccanismo vittimarioā, e sembri invece sempre piĆ¹ presente la necessitĆ di costruire unāidentitĆ partendo da una posizione di subalternitĆ e impotenza, definendosi in base a ciĆ² che ci ĆØ stato inflitto, piuttosto che in base alle possibilitĆ di azione e cambiamento che possiamo intraprendere, a ciĆ² che possiamo fare invece che subire. Il discorso vittimario, sostiene il collettivo, indebolisce le persone o i gruppi che si identificano come vittime, ma anche chi ĆØ chiamato a intervenire o a rispondere a tali accuse. Questo, di nuovo, non significa rinunciare a segnalare abusi, violenze, difficoltĆ o vissuti, e nemmeno appiattire i privilegi e normare le condizioni materiali, ma punta piuttosto a cercare una prospettiva meno individualista e piĆ¹ collettiva, collettivizzando le vulnerabilitĆ e i traumi per rendere potenti i soggetti. Non definirsi come vittime, ma piuttosto come persone sopravviventi. CiĆ² che caratterizza e che rende importante il libro di brown ā e che si ritrova anche in Emergent Strategy, e in generale nei suoi interventi e nelle sue interviste ā ĆØ una forte spinta verso un futuro luminoso, di desiderio e di collettivitĆ futura, in cui āogni persona ha del lavoro da fare. Il nostro lavoro ĆØ luminoso. Non abbiamo alcuna morale perfetta su cui fondarci, modellate come siamo da questi tempi complessi e tossiciā.
Sarebbe importante che anche chi ĆØ fuori dai movimenti politici, chi non frequenta le assemblee e i collettivi, riuscisse a non fermarsi alle notizie delle censure, che spesso inducono a credere che le lotte politiche siano solo una questione di decoro e normazione. Ć fondamentale provare a entrare nella complessitĆ dei dibattiti politici contemporanei: solo cosƬ si puĆ² sviluppare una visione critica e consapevole, capace di andare oltre la superficie delle narrazioni dominanti. Dovremmo riuscire a non ridurre tutto utilizzando lāespressione cancel culture ma fermarci a riflettere su quali percorsi stanno dietro alle pratiche politiche.
Allāinterno dei movimenti sarebbe importante invece riuscire a trovare dei modi diversi di creare e superare conflitti, fermarsi a riflettere insieme, prima di porgere il fianco alle strumentalizzazioni, allāindebolimento delle nostre lotte. Dovremmo forse trovare modi per non utilizzare il meccanismo della punizione, della gogna pubblica, ma cercare confronti diretti e collettivi, sinceri, mettere in atto pratiche che ci portino a migliorare insieme. Modi piĆ¹ gentili, piĆ¹ radicalmente teneri, senza punizioni ma come comunitĆ che si organizzano e condividono. Il libro di brown ci stimola a farlo āprima che non rimanga piĆ¹ alcuna persona da denunciare, da cancellare, da richiamare, da chiamare ānoiā, o semplicemente da chiamareā. Altrimenti, a forza di cancellarci a vicenda, non resterĆ piĆ¹ nessuno a lottare per noi, con noi.
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