In una controversia per il risarcimento del danno da vaccino il verbale della Commissione medica ospedaliera (C.M.O.) che ne attesta il nesso non ha valore di prova e il giudice può liberamente disporre una consulenza e all’esito decidere in senso opposto. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, ordinanza n. 30267 depositata oggi, respingendo la domanda del ricorrente contro la decisione della Corte di appello per vedere affermata la responsabilità del ministero della Salute.
Il giudice di secondo grado, a sua volta, aveva confermato la decisione del Tribunale che aveva bocciato la richiesta di indennizzo ex lege n. 210/92 per la patologia (cerebropatia epilettogena) contratta a seguito di somministrazione di vaccino antipolio. La decisione ricordava che era stata disposta consulenza tecnica d’ufficio medico-legale sia in primo sia in secondo grado, e che ambedue le relazioni avevano concluso come assolutamente più probabile l’assenza di nesso causale tra la somministrazione vaccinale e il quadro clinico riscontrato, nonostante i sintomi della patologia fossero comparsi pochi giorni dopo la somministrazione, e nonostante il nesso causale fosse stato riconosciuto dalla Commissione Medico Ospedaliera (C.M.O.). La letteratura scientifica escludeva infatti il nesso causale.
Una lettura confermata dalla Suprema corte che ricorda come non è vero che la Corte di appello abbia omesso di considerare il verbale della C.M.O., “ma ha ritenuto che i dati di fatto ivi menzionati – prossimità cronologica tra somministrazione e insorgenza dei sintomi, letteratura scientifica a sostegno della eziologia – non fossero attendibili, alla luce delle due relazioni mediche”. Entrambe infatti avevano negato che “alla luce della letteratura scientifica, potesse sussistere un nesso causale tra la somministrazione del vaccino antipolio e il quadro clinico del ricorrente”.
La Cassazione aggiunge che il verbale della C.M.O. attestante il nesso causale non ha efficacia di prova legale (Cass. S.U. 19129/23), ma di prova liberamente valutabile dal giudice (Cass.36504/23), il quale può utilizzarlo in giudizio e apprezzarlo.
Per cui, non avendo efficacia di prova legale, la valutazione della C.M.O. non impediva al tribunale e alla Corte d’appello di disporre una c.t.u. medico legale. La Cassazione del resto ha già in passato precisato che la P.A., e quindi il Ministero della Salute, può riesaminare in sede di procedimento amministrativo le conclusioni della C.M.O.; mentre il giudice, investito della domanda di accertamento del diritto all’indennizzo, deve procedere all’accertamento della sussistenza o meno delle condizioni richieste e, quindi, anche al riesame, eventualmente in senso sfavorevole all’interessato, della valutazione della C.M.O..
Infine neppure è vero che la Corte avrebbe violato il principio del “più probabile che non”, avendo richiesto una forte probabilità, prossima alla certezza, in ordine alla sussistenza del nesso causale. Entrambe le Ctu infatti hanno escluso “con grande probabilità se non con certezza – ovvero secondo un criterio di maggior probabilità – che la somministrazione del vaccino sia stata causa della patologia riscontrata”.
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