Curiosa coincidenza storica quella per cui il primo episodio di intercettazioni nei confronti di vari esponenti dalla politica al giornalismo, sia avvenuto esattamente 100 anni fa. Siamo a pochi mesi dal centenario del Servizio Informazioni Militare (SIM), nato il 15 ottobre 1925 con Regio decreto n. 1809/25 e posto al comando del Colonnello Attilio Vigevano, già direttore del Servizio Informazioni dello Stato Maggiore, veterano della intelligence fin dalla Grande Guerra nonché raffinato storico militare. Il Colonnello Vigevano aveva altresì autorizzato pochi mesi prima il subordinato maggiore dei Carabinieri Calleri ad istituire una attività di intercettazioni telefoniche. Occorre osservare che tale servizio operò in un momento di grande riforma della telefonia nazionale, voluta proprio nel 1925 dal Presidente del Consiglio Benito Mussolini che, compiacendo le grandi famiglie, decise di riprivatizzare il comparto, dividendo l’Italia in cinque zone, e assegnandole ad altrettante concessionarie: nel Nordovest la STIPEL (Società Telefonica Interregionale Piemontese e Lombarda, a sua volta controllata dalla SIP, Società Idroelettrica Piemontese, con interessi di Comit, Italgas e Fiat); nel Nordest la TELVE (Società Telefonica delle Venezie, con azioniste alcune famiglie venete); in Emilia Romagna e sulla dorsale adriatica dalle Marche al Molise la TIMO (Società Telefoni Italia Medio-orientale, con la Cassa di Risparmio di Rimini quale principale azionista, già assorbita nel 1926 dalla SIP); la TETI operava in Liguria, Toscana, Lazio e Sardegna (Società Telefonica Tirrena, fondata da Luigi Orlando e Alberto Pirelli); alla SET spettava l’Italia meridionale e la Sicilia (Società Esercizi Telefonici, raggruppamento di imprenditori di Biella e della svedese LM Ericsson, al quale andava la concessione del Mezzogiorno).
La gestione delle linee interurbane, strategiche ma non profittevoli, fu assegnata all’Azienda di Stato per i servizi telefonici (ASST). Pur esistendo ancora il sistema manuale con gli operatori, iniziavano a diffondersi nelle principali città italiane le centrali automatiche e gli utenti conoscevano il disco combinatore. Solo dieci anni dopo avrebbero iniziato ad entrare nelle case i primi telefoni in bachelite, grazie alla Ericsson, inaugurando la disinibita epoca dei “telefoni bianchi”. Poche migliaia gli abbonamenti, oltre alle persone abbienti, i telefoni erano presenti solo negli esercizi pubblici. L’interfaccia tra il pubblico e le aziende telefoniche era garantito dalle centraliniste, spesso giovani donne.
Grazie ai centralini, un gioco da ragazzi quindi nel 1925 era l’ascolto delle conversazioni e la verbalizzazione stenografica. Situazione ben più semplice rispetto al controllo delle comunicazioni odierne non solo telefoniche, ma sui proliferati programmi di messaggistica istantanea e/o sui social network. Tornando alle intercettazioni, esse riguardavano alti ufficiali delle Forze Armate, esponenti del regime fascista, politici di opposizione, giornalisti e diplomatici stranieri. La scoperta della vicenda ebbe conseguenze, che probabilmente contribuirono nell’aprile 1926 all’allontanamento dello stesso Vigevano dalla guida del SIM. Questo episodio, rimasto ancora oscuro anche nella storia dei nostri servizi, coincide con una aspra lotta intestina tra gli ambienti più fascisti e quelli di cultura liberale che non risparmiò le Forze Armate: si pensi all’allontanamento del ministro della Guerra Antonino Di Giorgio nell’aprile, o il più eclatante arresto del generale Luigi Capello nel novembre.
L’attività di ascolto organizzata da Calleri non terminò con l’uscita di Vigevano: essa semmai, in un periodo di crescente autoritarismo e maggiore psicosi di controllo, fu propedeutica passando alla più ideologica polizia politica per poi tornare negli anni Trenta ad essere prerogativa del controspionaggio militare.
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