Il lavoro tecnico e psicologico di Messina per superare la crisi dell’Armani Milano in campionato ed Eurolega. Importante la vittoria sul Fenerbahce ma incombono sempre gli improvvisi cali di tensione. La ricetta? Buffetti, carezze, sorrisi
Andare a vincere in Turchia contro il Fenerbahce, e con una certa autorevolezza (mancata solo negli ultimi minuti del match) rientra nelle imprese sportive. È tanta roba, insomma. Nessun trofeo, nessuna coppa, i playoff di Eurolega sono ancora lontani, si è vinto solo una partita, ma quello dell’Armani Milano è un successo che non nasce per caso, ha basi solide e dà continuità e forza, una svolta tecnica e umana, arrivata dopo un periodo di intensa e grave crisi.
Una mezza rivoluzione? È qualcosa di più serio, profondo, ci sono il pensiero e l’azione, le idee e i fatti. Attenzione però, i problemi non sono risolti, restiamo convinti che sia e resti una squadra difficile da governare, perché nata da scelte che non sempre trovano spontaneità nel gioco e poi c’è una tendenza pericolosa, quella di disunirsi nei momenti delicati. Non è forse un caso che Messina dopo la vittoria sul Fenerbahce abbia sottolineato «siamo stati una squadra solida». Era ora.
Messina, ideologo di grandi difese (certe sue match-up adattate e variabili hanno fatto storia e costruito vittorie), ha assecondato la natura offensiva della squadra. La combinazione Mirotic & LeDay, dopo l’infortunio di Nebo, è stata sposata totalmente e in attacco quei due sono un rebus irrisolvibile per gli avversari, almeno finché stanno così. Questa coppia, alternando il dentro e il fuori, in area e lontano dal canestro, mette in confusione le difese avversarie. Contro il Fenerbahce 48 punti in due, 42 contro il Maccabi.
LeDay ha modi e tempi da trascinatore. È un giocatore atipico, forte di un tiro strano, a una mano che spiazza il difensore. LeDay sposta addirittura l’asse di tiro mentre il suo avversario diretto è in discesa: lui sale, l’altro viene giù. E gode come un ragazzino raggiungendo una felicità trascinante per i compagni.
Mirotic non solo segna, è il suo mestiere, conquista rimbalzi difensivi, perché sa fare il tagliafuori. Non saprà mai difendere, non è il suo mestiere, sul primo passo lo saltano che è un piacere, ma è inutile dannarsi l’anima o infastidirsi (come faceva Melli, comprensibile). Nico Mannion, il nuovo, ha dato più velocità e passaggi, un vantaggio anche per Brooks.
Dimitrijevic, play vero e forte, partendo dalla panchina è letale. In certi movimenti ricorda Drazen Petrovic, irraggiungibile. Ora ha capito, ora è cresciuto, se parte titolare è meglio. Il rientro di Nebo, il pivot, potrà fare solo del bene.
Lo abbiamo scritto quando le cose non andavano per il verso giusto e andava di moda lordare i monumenti, ma è meglio ribadirlo: alla guida dell’Armani Milano c’è il miglior tecnico, Ettore Messina, del basket italiano, tra i primi in Europa. Alla fine lui vince sempre, mentre gli altri perdono (gli scudetti), e questo fa la differenza, soprattutto quando diventa facile smontare anche i totem, succede in tutti gli sport, ne sanno qualcosa Allegri, Mourinho, persino Ancelotti e lo sa anche Messina.
Che è cambiato, si incazza sempre, ovvio, ma è diventato più comprensivo, accetta l’errore, cerca di correggerlo, parlando, dialogando, addirittura dà un buffetto ai suoi giocatori, abbiamo visto accarezzare Mirotic, Ricci, Tonut, prima non accadeva. Ride addirittura. È un uomo dotato di ironia, ma prima metteva dei musi che duravano giorni. L’atmosfera non era delle migliori. È diventato più tollerante verso la manchevolezza, cerca di trarre beneficio anche da questo. Abbiamo un sospetto: con quelle carezze, quei buffetti, quei sorrisi, sta cercando di costruire una squadra da una non squadra. Meglio sarebbe se facesse solo il coach dismettendo il ruolo dirigenziale dove certo non ha raggiunto l’eccellenza: nessuna distrazione.
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