Messina, la storia di Irene Giambò globetrotter dello “swap”

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«Cosa mi auguro per Messina? Che diventi una città sostenibile ma questo è in generale ciò che spero per tutto il pianeta». Irene Giambò, insegnante di inglese, classe 1981, messinese, ha le idee chiarissime. Vuole migliorare il mondo trapiantando quelle immagini virtuose che ha visto girando in lungo e in largo. L’ultima idea che vuole far attecchire nella città dello Stretto? Lo “swap” che prenderà vita al caffè letterario “Volta pagina” il prossimo 1 marzo.
«Quello pensato – racconta – è un evento di economia circolare per scambiare senza denaro. Puoi condividere ciò che possiedi ma non usi più e soprattutto apprezzare ciò che gli altri hanno da offrire». La mente corre velocemente al baratto ma è necessario attenersi a qualche raccomandazione utile: portare la qualità che ti aspetti di trovare e non assegnare un valore agli oggetti perché questo sarà sempre soggettivo. Mentre gli articoli accettati sono: abiti, scarpe, accessori, giocattoli, libri, costumi, maschere, giochi da tavolo, videogiochi e oggettistica.
«Fare qualcosa per Messina, – continua la giovane – la città in cui ho scelto di tornare dopo tanto tempo fuori, mi dà la carica e soprattutto mi accende di entusiasmo lanciare un messaggio contro il consumismo dilagante. Mi auguro che in tanti partecipino a questo evento e ad altri che si terranno». Ed ecco apparire il “background”: «Quando sono arrivata a Londra – precisa – ho trovato su “google” un evento mensile in “Kentish town” in cui si praticava lo “swap”. Inizialmente lo frequentavo da partecipante, poi come volontaria, ma presto mi è stato chiesto di gestirlo per ridargli una nuova vita. In sostanza la qualità era scarsa, lo frequentavano sempre le stesse persone, e si stava anche perdendo l’opportunità di educare i partecipanti alla sostenibilità. Alla fine, mixando la mia esperienza, sia nel campo educativo che nella sostenibilità, ho cambiato il format ed è stato un successone, tanto che anche la Bbc si è interessata alla pratica virtuosa».
La visione è abbastanza chiara. Secondo la nostra concittadina, la società è arrivata ad un punto in cui non è possibile stare a guardare e ignorare tutte le dinamiche del “fast fashion”, un fenomeno che ha gravi impatti ambientali e sociali con produzione in condizioni degradanti e inquinamento elevato. «Alla fine del 2019 – ricorda – avevo progettato l’apertura di un negozio “swap” permanente ma poi la pandemia ha stoppato tutto. In quel periodo mi spostai in Olanda e aprì uno spazio per lo scambio in un caffè che serviva, salvandolo, cibo che stava per scadere. Altra cosa curiosa della mia cangiante vita? Cucinavo piatti vegani in un “food truck” che stazionava nel giardino. Era davvero un bel luogo che purtroppo oggi non esiste più».
E tanti sono i ricordi che Irene custodisce e tira fuori per ricordare che è possibile fare qualcosa per migliorare il mondo: «Tutte le esperienze mi hanno insegnato qualcosa e mi hanno portato ad essere ciò che sono. Nel 2003 scelsi Helsinki come destinazione del mio Erasmus. Per 12 mesi non vidi una carta per terra e non sentì un clacson. Una sera di agosto si celebrava la “Notte bianca” ed era permesso bere all’aperto. Con mio enorme stupore, anzi shock, notai che le persone lasciavano per terra le lattine di birra vuote. Chiesi come mai e mi risposero che venivano lasciate ai poveri e ai bambini. Infatti, per ogni lattina o bottiglia riciclabile riportata al supermercato si riceveva uno scontrino, scambiabile con “cash” o sconti sulla spesa. Tra me e me pensai: “Come sono avanti”. Un’ altra volta scoprì quando fu organizzata una partita di hockey sul ghiaccio che esisteva una catena di negozi di seconda mano dove comprai i pattini. Dopo la Finlandia feci tre mesi in Scozia e soprattutto la scoperta dei “charity shop”. Io e le mie coinquiline comprammo un televisore di seconda mano perché pensammo che potevamo migliorare il nostro inglese guardando la tv. Poi Dublino. Dove sotto casa aprì il primo “swap shop” di vestiti. Lì comprai un abito stile pin up in bianco e nero nel 2008. Lo portai a Sydney nel 2009 regalandolo alla fine a una mia amica alla quale stava decisamente meglio. Dieci anni dopo lei dall’ Australia venne a Londra per un matrimonio e lo indossò. Ha avuto una vita lunghissima. Cosa che oggi è quasi impensabile. E potrei ancora continuare».
Irene si sente cosmopolita, non sa se metterà radici definitive nella città dello Stretto, ma si sente soddisfatta se raggiungerà qualche obiettivo minimo: «Mi auguro che le amministrazioni e le nuove generazioni abbiano capito che il progresso e il consumismo non sono la stessa cosa. Che la qualità della vita non si misura in denaro o prestigio. Grazie a questo “swap” ho scoperto delle belle realtà come il “Comitato degli Artisti”, il Caffè letterario “Volta Pagina”, “Kano Sartoria sociale”, “Crescendo Incubatore”, “Infinity Life”, Andy Pistone che promuove il trasporto sostenibile, La “Birra dello Stretto che è simbolo di resilienza e tradizione. Questo – conclude – mi da speranza che le cose possano migliorare».



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