Europa: tra terrorismo e “maranza”

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Tra il 13 e il 22 febbraio quattro attacchi hanno funestato l’Europa: 13 febbraio 2025, Monaco, Germania, investimento con veicolo lanciato su di un corteo, 2 morti e 30 feriti. Autore afgano; 16 febbraio 2025, Villach, Austria, attacco con coltello in piazza, 1 morto e 5 feriti, autore siriano; 21 febbraio 2025, Berlino, Germania, attacco con coltello al memoriale Shoa, 1 ferito. Autore siriano; 22 febbraio 2025, Mulhouse, Francia, attacco con coltello a un mercatino, 1 morto e numerosi feriti, tra i quali 2 agenti di polizia. Autore algerino.

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Dieci anni fa ciascuno di questi episodi avrebbe fatto in qualche modo dottrina. Oggi, purtroppo, no. Ad onor del vero, la strategia pulviscolare di caldeggiare attacchi dalle modalità semplici ma terrifiche allo stesso tempo era già più che consolidata, ma di sicuro la cadenza era lontana dall’essere quasi quotidiana.

Europa: perché?
Germania e Francia restano target di elezione. La Francia storicamente offre terreno fertile per la proliferazione di odio e risentimento, avendo attratto per decenni flussi migratori dalle proprie ex-colonie ed ex-dominazioni in Nord Africa. Peccato che, una volta attratte masse umane con la promessa di una vita dignitosa, l’immigrazione, per lo più magrebina, ha dovuto suo malgrado fare i conti con una realtà che non offriva alcuna possibilità di lavoro e di conseguenza di una vera potenziale integrazione. Ed ecco nascere il fenomeno banlieue, sterminati quartieri-dormitorio periferici che hanno di certo dato casa a chi già arrivò in Europa con intenzione di delinquere, ma allo stesso tempo hanno rappresentato una forte spinta criminogenetica presso chi è stato illuso e deluso, magari in seconda o terza generazione.

La Germania, invece, paga probabilmente lo scotto di un assorbimento di immigrazione incontrollata che, ancora una volta, ha favorito l’infiltrazione tanto di terroristi quanto di soggetti che nel tempo si sono rivelati sensibili alla propaganda jihadista.

Interessante notare come, tra l’altro, i cittadini francesi e tedeschi stiano subendo sulla loro pelle le conseguenze di guide scellerate non solo dei rispettivi Paesi, ma anche di questa Europa da sempre a forte traino – anche – francese e tedesco.

Inoltre, le manifestazioni di insofferenza che la Germania proprio negli ultimi mesi e settimane sta vivendo rispetto all’immigrazione incontrollata e alle ovvie conseguenze, comprese quelle mortali di cui ci occupiamo, possono aver motivato all’azione tanto chi vuole colpire quanto chi vuole rafforzare l’intolleranza, che a pensare male spesso ci si azzecca…

In ogni caso, si tratta spesso di radicalizzati nordafricani o provenienti da Paesi che hanno subito ogni genere di sofferenza negli ultimi decenni: non sembra un caso che 3 su 4 degli ultimissimo attacchi siano stati portati da siriani o afgani e anche questo dato fa riflettere sulla gestione del mondo occidentale negli ultimi decenni.

E l’Italia?
Pur interessata non poco dal fenomeno, come spesso accade l’Italia sta avendo un modo tutto suo di vivere l’offensiva asimmetrica.

Certo, nonostante tutto siamo ancora il principale porto di arrivo, quindi sarebbe un enorme autogol strategico attaccare apertamente fino a provocare una reazione forte. Qui le cose devono andare diversamente.

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È così che l’immigrazione incontrollata in Italia sta saturando molto velocemente le nostre città di persone senza dimora, senza speranza e quindi più facilmente pronte a tutto, oltre che di veri e propri operatori del jihad.

Fino a una manciata di anni fa eravamo davvero indietro sulla strada della saturazione di immigrati dal Sud del mondo, ma la politica dell’ultimo decennio ci sta portando velocissimamente ai livelli degli altri Paesi europei, senza peraltro avere mai goduto del benché minimo vantaggio di secoli di impero coloniale a rimpinguare le casse dello Stato e da creare, ora, il momento giusto per una “resa dei conti”, come per esempio è stato per la Francia.

In Italia, una certa politica europea e nostrana ha determinato rapidamente le basi per le stesse dinamiche ma con modalità diverse: immigrazione indiscriminata e massiccia, creazione di banlieue nostrane in pochi anni, ammassando migliaia di famiglie senza speranza e alimentando odio.

Alimentando e pilotando, infine, un progressivo controllo del territorio da persone dalla stessa provenienza che, però, a differenza di chi colpisce in attentati, disseminano terrore quotidiano con la conquista di piazze e strade da parte di bande che, in fin dei conti, fanno la stessa cosa degli attentatori: accoltellano, in salsa “rapina” anziché “attentato”, anche se poco cambia.

Controllano fette sempre più vaste di territorio urbano, dalle ormai impenetrabili periferie delle città metropolitane fino ai centri città, occupati da bande di giovanissimi per lo più nordafricani che accerchiano, rapinano, accoltellano, seminano terrore fino a rendere infrequentabili quelle zone, che a quel punto possono ben ritenere conquistate.

Basta assegnare al fenomeno un nome simpatico, quasi scherzoso, e la percezione del popolo sarà storpiata e ritardata non poco: chiamiamoli “maranza” anziché rapinatori e molestatori abituali, in gruppo tra loro, che operano secondo un modello criminale collaudato e replicato in infinite cellule, ben consapevoli di una larghissima speranza di impunità.

Ecco, chiamiamoli con un nomignolo, così sembra meno grave. Come a una certa politica è piaciuto molto chiamare “bulli” gli autori di selvagge aggressioni e lesioni ai danni di coetanei. Ma la dimensione cognitiva di guerre e conquiste in genere è un altro tema.

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Il mondo sta cambiando pelle davvero rapidamente, tra i colpi di coda di chi non vuole perdere le egemonie di cui ha goduto sinora e la smania di chi ha fretta di prendere in mano le redini, e l’Italia non ne è di certo immune.

La comunicazione del jihad
La strategia degli attacchi in Europa rispecchia in tutto e per tutto le linee-guida che, ormai molti anni fa, un Daesh (Isis) che gestiva uno Stato territoriale divulgava on-line in un numero sterminato di lingue (ma non doveva essere terrorismo religioso ortodosso e usare quindi stili comunicativi tradizionali?).

Nella cornice di una comunicazione davvero efficace, il # 2 della rivista che all’epoca si chiamava Rumiya invitava chiunque si fosse trovato a leggere la rivista ad attaccare con il coltello, con tanto di paragrafo dedicato alla scelta del coltello giusto, di uno dedicato al target più succoso e uno, naturalmente, su come usare tecnicamente il coltello in modo più letale possibile.

Il # 3, invece, diffondeva le stesse nozioni, ma questa volta rivolte agli investimenti con i veicoli e dunque come scegliere il veicolo migliore e così via.

Ed eccoci qui, ormai da anni: fa specie che più di uno tra gli ultimissimi attentatori pare si siano auto-radicalizzati a distanza, quindi esattamente procurandosi del materiale di propaganda e immergendovisi.

Cosa si può fare?
A livello politico forse ancora molto ma, come ben sappiamo, è una sfera decisionale sulla quale, come cittadini, nulla possiamo, con buona pace del principio democratico di rappresentanza della volontà del popolo.

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E come individui? Maturare la – triste – consapevolezza di ciò che sta accadendo e, senza arrivare a privazioni di vita che consegnerebbero la vittoria in mano a queste minacce, orientare i nostri comportamenti anche in funzione dei rischi che corriamo a causa di questo fenomeno. Nel frattempo, sto andando a comprare giacche antitaglio per i miei figli…





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