Non una deduzione, ma la cronaca politica quotidiana in casa centrodestra: la maggioranza “romana” non se la passa benissimo, le litigate sono ormai all’ordine del giorno. E quando va male, ce n’è una la mattina e un’altra il pomeriggio. Tanto che Giorgia Meloni, all’ennesimo scontro, ha dovuto dire: «Siamo diversi», ammettendo pubblicamente le (pesanti) differenze, «ma coesi», offrendo una ricostruzione più per necessità che per convincimento.
Ma andiamo con ordine: l’ultima grande baruffa nel centrodestra è scoppiata per il canone Rai. Per uno “sconto sì, sconto no” di venti euro venti. Al netto di come andrà a finire, è chiaro che Matteo Salvini e Antonio Tajani, i numeri due, sono sempre più agli antipodi. E questo si ripercuote sull’intera coalizione perché, in una complicata partita, la premier si ritrova come schiacciata. Impossibilitata a regalare una versione armoniosa di centrodestra. Di quella coalizione che «stiamo facendo la storia», ha detto lei in più di un’occasione.
Quanto al duello Salvini-Tajani, certo è che l’uno vive con l’ossessione che i Fratelli d’Italia (come poi accede di continuo) portino via voti alla Lega. Salvini ha il problema di dover parlare all’elettorato più spostato a destra in maniera diversa rispetto alla premier. Il risultato è una continua esasperazione dei toni. Su tutto. Specie quando il tema della contesa riguarda qualche richiamo del presidente Sergio Mattarella o il posizionamento dell’Italia nello scacchiere mondiale. Meloni è costretta ad assecondare il capo dello Stato (pena uno scontro istituzione ben più grave sotto il piano della tenuta politica) e a non spostarsi dall’alleanza atlantica (a differenza di Salvini molto filo-Putin). La posizione di Tajani è ben diversa: il capo dei berlusconiani non ha certo il profilo da urlatore. E, a differenza di Salvini, ha soprattutto la stazza politica che gli deriva dall’esperienza. E poi è un moderato, nei fatti, non solo nei toni. Attento a ritagliarsi – e infatti Forza Italia è in crescita – la fiducia anche di quell’elettorato ondivago che non si spinge sino alla destra estrema, ma al contrario bazzica al centro con talune simpatie per certi valori di sinistra. Quindi vota alternativamente un po’ di qua e un po’ di là.
Il discorso che Giorgia Meloni ha fatto nel fine settimana fa riflettere. Dà la misura esatta di quanto per la premier sia diventato problematico gestire gli alleati. Ha detto la presidente, come se volesse convincere la platea. Come se avesse bisogno di vedere un’alleanza pacifica. «La nostra coalizione è composta sì da forze politiche diverse: ognuna ha la sua identità e la sua storia che sono un valore aggiunto e ciò che ci rende forti e coesi è la volontà di stare insieme, che è quello che ci consente di fare sempre sintesi e di trovare un punto di incontro». Meloni ha aggiunto ancora: «Siamo uniti dalla stessa visione del mondo di fondo, perché crediamo negli stessi valori di riferimento, perché abbiamo idee compatibili, perché intendiamo portare avanti fondamentalmente gli stessi progetti. È tutto questo che ci tiene insieme da trent’anni a questa parte, che ci ha permesso in questi primi due anni di Governo di raggiungere risultati inaspettati».
Non si può negare l’alleanza trentennale nata con il Polo della libertà che fu la grande intuizione di Silvio Berlusconi. Ma adesso il tempo è cambiato: il consenso è diventato fluido come la società, Meloni sa bene che le continue liti rischiano di indebolire la percezione degli italiani sull’efficacia del Governo. Sulla capacità della stessa premier di evitare le tempeste. A tratti sembra quasi che il centrodestra abbia preso la piega stilistica del centrosinistra, storicamente più propenso a lavare i panni sporchi fuori casa. Sino alla clamorosa caduta di Romano Prodi per mano amica. Chissà, se questa sia la paura recondita di Giorgia. Aspettando la prossime litigata tra i due vicepremier.
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